| Le parole indimenticabili di Rosaria Costa, Giovanni Falcone e Salvatore Riina |
ROMA - Era di maggio, venti anni fa, ultima decade. Vivevano tre persone a Palermo: Rosaria Costa, Giovanni Falcone, Salvatore Riina (la Bestia). Poi solo due, di persone: una brindava, una piangeva. Di parole quelle tre persone ne hanno dette tante, e a più riprese. In due, anche dopo il 23 maggio 1992. Con un valore e una valenza diversa. Dai significati particolari. Per non dimenticare. Da non dimenticare.
"A nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato... Chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia... Adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono. Io vi perdono se vi mettete in ginocchio. Se avete il coraggio di cambiare. Loro non cambiano, loro non vogliono cambiare. Di cambiare i vostri progetti mortali. Per questo preghiamo nel nome del Signore, padre perdona loro, perché loro non sanno quello che fanno. Vi chiediamo per la nostra città di Palermo signori, che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza..."
"Pensare che tutto dipenda esclusivamente da me è sbagliato, dimostrerebbe il fallimento di fronte a questa piovra invincibile che abbiamo creato noi. Perché sono uomini come noi".
"Fu Giovanni, nato il 16/11/1930 a Corleone. No, non ho niente, nullatenente. Ero agricoltore quando ero giovane. Dopo mi sono dato da fare, ho lavorato in questi ultimi tempi in una ditta di costruzione e quindi ho campato la famiglia. Io non ho frequentato nessun criminale di cosa nostra. No, non ho sentito parlare di cosa nostra. Io facevo lavoro, casa, moglie, famiglia e chiesa come si suol dire dalle parti nostre".
Lacrime e champagne. In una Palermo, in una Italia di venti anni fa.
di Giuseppe Rapuano
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