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La Donna che "Amo" è Annemarie Schwarzenbach. Firmato Francesca Sarah Toich

schwarzenbach-annemarie ROMA - Cinquew ha chiesto alle donne italiane un contributo scritto su una figura femminile apprezzata per le sue gesta, il suo coraggio, la sua cultura. Anche non più tra noi. Di seguito l'intervento di Francesca Sarah Toich.
L’angelo errante. Basta guardare una foto per capirla, lei, è un’opera d’arte. Annemarie Schwarzenbach, giornalista, fotografa, scrittrice ed esteta, conquistò i cervelli della famiglia Mann, tanto che il noto Thomas usava chiamarla affettuosamente “angelo devastato”. Figlia di ricchi industriali svizzeri con ombre di simpatizzazioni naziste, ella si candida come una delle reporter fotografe più crudelmente antinaziste dell’epoca: e usava un’arma che rimarrà nei secoli, l’estetica.
Annemarie amava guidare, a tal punto che raggiunse in pieno scoppio della seconda guerra mondiale, il continente indiano, passando per l'Iran e l'Afghanistan, con la sola compagnia di un’altra scrittrice, Ella Maillart, che da questo viaggio trasse un libro, “La via crudele”.
Furono le prime donne a viaggiare sole in macchina fino a Kabul e le prime in assoluto a percorrere la cosiddetta “via del nord”, costituita da mulattiere e piste carovaniere ignote all’Occidente.
Sempre insieme ad un’altra donna, la giornalista e fotografa americana Barbara Hamilton-Wright, compirà mirabolanti viaggi negli Usa toccati profondamente dalla crisi economica dove documenterà la fame dei contadini sfruttati nelle piantagioni del sud e al contempo le terribili condizioni degli operai nelle città industriali.
La Schwarzenbach era estrema: androgina, non anoressica. Negli anni Ottanta del nostro secolo avrebbe dato filo da torcere a Dawid Bowie.
Sembrerebbe la perfetta incarnazione di “Orlando” di Virginia Wolf, nell’eterno suo mutamento tra uomo e donna.
Ma tant’è: è inoltre una grande scrittrice. I suoi diari, libri ed articoli farebbero impallidire molti reporter dei giorni nostri. Attraversò da sola l’Asia tutta, gli Stati Uniti e l’India con grazia ed ingegno; in un’epoca dove le donne faticavano ad uscire con un’amica, si trovava in Afghanistan o nelle fabbriche devastate dai tumulti operai dei paesi industrializzati, a fotografare le situazioni di povertà e guerriglia più estreme.
Rimane tristemente famosa per essere stata morfinomane ed alcolista. Mi piacerebbe sfatare questo mito. Certo, da molti scritti di chi le era accanto appare evidente che l’alcol e la morfina fossero certamente presenti nella sua vita. Ne soffriva, senza esserne del tutto dipendente. Era in grado di stare nel deserto anni, sopportando qualsiasi tipo di privazione, e così si teneva distante dai vizi e dalle droghe, a cui era incline per natura.
Per questo viaggiava e impegnava ogni suo sforzo al fine di ritrovarsi in situazioni estreme: in città, lì sì, cercava l’oblio e lo squassamento dei sensi. Ma mentre era nei suoi viaggi fatti di quindici ore di guida in mezzo al deserto e ai suoi strani abitanti, lì era con la parte migliore di sé, e smetteva di soffrire.
Se la si pensa sola, nelle lande sperse di paesi dove tutto era ancora fermo in meccanismi medioevali, arrivare in automobile, (la sua inseparabile Ford) vestita da uomo, macchina fotografica alla mano, non si può non riflettere su come la recepissero i popoli da lei incontrati. Soleva dialogare coi vecchi dei villaggi, per poi accamparsi, sempre in solitudine, nei luoghi più deserti con il suo fornelletto da campo e l’immancabile diario.
Furono di certo viaggi disperati e filosofici, alla ricerca di un’altra patria.
Leggendo i suoi scritti, appare evidente una visione lucida della realtà che la circondava. A suo agio tra i ricevimenti di una Russia colta e viva, allo stesso modo amava condividere i giacigli dei poveri del deserto.
Definiva la fame come “amica” e non si tirava mai indietro di fronte ad una fatica fisica da compiere. Ironia della sorte, dopo infinite e pericolose peregrinazioni in un mondo devastato dalla guerra, Annemarie muore in seguito ad un incidente in bicicletta. La madre bruciò parte dei suoi scritti e lettere, e la sua memoria cadde nell’oblio.
Ripubblicata poi solo nella metà degli anni Ottanta dall’editore svizzero Huber, oggi la sua immagine affolla siti e blog di infiniti appassionati.
Apprenderne la storia ridona fiducia a chi, pur estraneo, si getta nella vita con impeto, alla ricerca.
Perché amarla.
Innanzitutto le sue foto, da cui traspare un’intelligenza vivissima e una grande attenzione verso i disagi del mondo. E poi lei, con la sua bellezza angelica, testimone in ogni suo ritratto fatto di coraggio sconsiderato e lucidità nelle situazioni più estreme. Ma dal quale traspare anche una palese debolezza, una forte tendenza alla depressione e isolamento.
Amava le donne, solo loro a quanto pare. Fin da piccola si vestiva da fanciullo con il beneplacito della raffinata famiglia che la crebbe come un bambino prodigio. Sposò un diplomatico omosessuale ma se ne distaccò dopo poco, in amicizia, per continuare a viaggiare ancora.
La sua missione antinazista fu un vero e proprio filo conduttore, tanto che quando seppe dello scoppio della guerra abbandonò il suo viaggio in Oriente e decise di tornare, di lottare e di scrivere articoli non sul lontano Afghanistan ma sulle scottanti realtà europee.
E già da prima corrispondeva per giornali antinazisti scrivendo spesso sotto pseudonimo, impiegando tutta se stessa per mettere in evidenza i lati negativi del regime e addirittura, più di una volta, aiutando in prima persona ebrei e perseguitati, azioni che la portarono a grossi conflitti con i familiari tanto da indurla poi al suicidio, fortunatamente non riuscito.
La volontà di testimonianza è un dono raro e ancor più raro è riuscire a svolgere una vita come la sua.
Mi capitò di “conoscerla” lavorando come attrice in un convegno dedicato alle donne viaggiatrici del nostro secolo e tra le tante, ardite presenze, la sua mi si conficcò dritta dritta nell’animo, ridestando in me la volontà di viaggiare, scrivere e osservare.
Resta un grande esempio di capacità di ribellione alle regole autoritarie e borghesi, nonché una fulgida testimonianza di come, attraverso la ricerca del vero e del bello sia possibile portare un pensiero nuovo e diverso.
Invito pertanto caldamente alla lettura dei suoi testi, luminosi e umbratili allo stesso tempo, e spero sia presto possibile assistere ad una mostra italiana dell’opera fotografica di questa straordinaria viaggiatrice nel corpo e nell’anima, che ha indubbiamente segnato la nostra epoca.
Data:  22/10/2011   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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