ROMA - Cinquew ha chiesto alle donne italiane un contributo scritto su una figura femminile apprezzata per le sue gesta, il suo coraggio, la sua cultura. Anche non più tra noi. Di seguito l'intervento di Loredana De Vitis.
Perché possiamo essere “vere” e “intere”: t’amo Carla Lonzi. Perché spudoratamente amo Carla Lonzi? Perché non vedo cesura tra vita e pensiero, perché di Lonzi l’autenticità è un tratto talmente forte da rendere ogni suo scritto tanto nuovo quanto eterno. Perché leggere Carla Lonzi è qualcosa che non può lasciarti indifferente, perché ti costringe a interrogarti su quanto della tua vita è autentico e pieno e su quanto è frutto di compromissione e baratto.
Non voglio qui produrre una comunque limitante e limitativa lista di opere, né elencare le numerose questioni Politiche (non è a caso che uso la maiuscola) su cui Lonzi s’è espressa scardinando ogni schema, ogni presunto “equilibrio”. Voglio qui dare, invece, un semplice suggerimento alle donne e agli uomini, soprattutto ai più giovani. Una sorta di “miccia”, qualcosa che spero contribuisca a una “esplosione” interiore, al porsi di qualche interrogativo tanto fondamentale quanto trascurato: leggete (o rileggete) “La donna clitoridea e la donna vaginale”, che trovate in “Sputiamo su Hegel, La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti” (Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978).
Non lasciatevi “colpire” dal titolo, non lasciatevi fuorviare dall’anno della prima edizione. In tempi di crescente ipocrisia e di regresso culturale nei rapporti tra i sessi, vi propongo la lettura di un testo secco, onesto, pulito. Un testo che, affrontato senza pregiudizi e come sollecitazione a interrogarsi persino sugli aspetti più semplici delle interazioni tra uomini e donne, spinge a chiedersi quanto il corpo sia politico e fino a che punto le relazioni tra i sessi siano mediate dalla cultura. Scrive Lonzi nella premessa: «Prendendo coscienza dei condizionamenti culturali, di quelli che non sappiamo, non immaginiamo neppure di avere, potremmo scoprire qualcosa di essenziale, qualcosa che cambia tutto, il senso di noi, dei rapporti, della vita».
Ogni giorno possiamo sperimentare, noi donne per prime, quanto possa essere importante fingere, rispettare un ruolo, uno schema dato, perché si aprano più porte, perché sia più agevole l’interazione. Ma questo “compromesso” – lo sappiano gli uomini – è, appunto, un compromesso, qualcosa che rende false le relazioni. E non stiamo parlando solo della vita pubblica, degli ambienti di lavoro, dei rapporti amicali, stiamo parlando per prima cosa delle relazioni più intime, private. In questo senso, uno schema compromissorio è anche adeguarsi a un “gioco” che non ci è naturale giocare. Scrive Lonzi nel testo: «Diffidiamo dell’ottimismo di alcune donne emancipate che mettono avanti come un esempio da seguire il loro accordo sportivo e senza drammi con l’uomo. (…) La donna emancipata dà all’uomo il confort di regolare la sua emotività su quella di lui, la sua esigenza su quella di lui, la sua versione dei fatti su quella di lui, e così uccide la sua autenticità nell’illusione di non essere sconfitta».
Argomento impegnativo, riflessione difficile, ragionamento troppo denso? Non credo. Si tratta semplicemente di provare a fare un passo “oltre”, verso il recupero di una dimensione più autentica, personale prima ancora che di coppia. Verso la possibilità di conoscerci davvero e di confrontarci su un piano di vera parità. Ripeto: non di “identificazione”, di parità. Guardarci sullo stesso terreno e metterci a confronto per essere “vere” e “intere” e “veri” e “interi”, a partire dal corpo. Un corpo autentico, non plasmato dalle ideologie e dal mercato, non stravolto da una “cultura” che ci espropria. Un corpo autentico. Leggete Carla Lonzi. L’amerete.
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