ROMA - Cinquew ha chiesto alle donne italiane un contributo scritto su una figura femminile apprezzata per le sue gesta, il suo coraggio, la sua cultura. Anche non più tra noi. Di seguito l'intervento di Maria Grazia Balbiano.
Caro Direttore forse parlerei delle tante donne che amo! Il carisma del bene esiste: è quella sensazione che emanano i grandi personaggi che hanno votato la loro vita per realizzare qualcosa di nobile e giusto anche nelle più piccole cose. Queste persone, una volta incontrate non si dimenticano più, e trasmettono amore ed energia positiva nella storia di ognuno di noi.
Angelica Edna Calò Livnè è una di quelle. Lei lotta da dieci anni con tutte le sue forze per la pace usando strumenti semplici come l'educazione e le arti. Lo fa in un contesto difficile e controverso in Israele, più precisamente in Alta Galilea, a Sasa dove ha scelto di vivere trent'anni fa lasciando la città natale Roma. Messa di fronte al richiamo alle armi del primo dei suoi quattro figli maschi, ha deciso di fare qualcosa e ha creato la Fondazione Beresheet LaShalom, ovvero un inizio per la pace, i cui uffici, sempre provvisori, occupano gli esigui spazi di un rifugio antiaereo nel Kibbutz di Sasa, e già questo suggerisce come possa essere vivere in certi luoghi.
Lei educatrice, scrittrice, artista, drammaturga ha usato con grande sapienza la sua esperienza e con il teatro-danza ha fatto incontrare i ragazzi di tutte le confessioni religiose, giovani ebrei, musulmani, cattolici, atei, drusi, e crea veri “amici” in un paese difficile. È nato così il suo più conosciuto spettacolo Beresheet -in principio- che in dieci anni di tournée ha emozionato e cambiato la vita di migliaia di persone, spesso rappresentato in Italia è diventato un cult tra chi lavora per la distensione in Medio Oriente. Gli spettacoli sono diventati tre, poi quattro, le attività si sono moltiplicate con una squadra di calcio, una radio, un centro ecologico per la pace e poi convegni e tavole rotonde in tutto il mondo. I ragazzi da poche decine sono diventati centinaia e il suo sogno è quello che questi giovani possano un giorno essere coloro che decideranno il futuro di Istraele e abbiano la forza, l'amore e la determinazione per osare le decisioni giuste.
Intanto i figli che hanno prestato il servizio militare, in un paese sempre sull'orlo della guerra, sono tre, Angelica spera ancora per il più piccolo: che possa indossare una divisa in una patria in equilibrio con se stessa e con i paesi vicini.
Per il suo instancabile lavoro è stata anche candidata al Nobel per la pace nel 2006.
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