ROMA - Cinquew ha chiesto alle donne italiane un contributo scritto su una figura femminile apprezzata per le sue gesta, il suo coraggio, la sua cultura. Anche non più tra noi. Di seguito l'intervento di Annamaria Barbato Ricci.
Ringrazio il direttore di Cinquew per aver richiesto il mio intervento, specie in relazione alla mia trincea in materia di pari opportunità, e gli suggerisco di mutare il nome di questa sezione in Seiw: oltre alle classiche cinque “dabliou” del giornalismo statunitense… la sesta è l’iniziale del vocabolo “women”… Tutto quadra, no?
La donna che amo, anzi prediligo… è un verbo che rappresenta meglio il sentimento che esprimo… è un’astrazione, quasi come la donna angelicata del Dolce Stil Novo: si chiama Italia Unita. Sono venuta a questo convincimento ideando il volume “Le Italiane” (Castelvecchi), dedicato a chi, a mio avviso, in questi 150 anni dall’Unità del Paese, si è guadagnato il giusto riconoscimento di “Madre della Patria”. Invece, quasi accerchiata, vulnerata, persino considerata un arnese arrugginito, la “povera Italia” sta subendo, in quest’anno di manifestazioni, l’ennesima messa in scena che, da un lato genera un giro d’affari ad hoc e, dall’altro, sterilmente e persino proditoriamente, fomenta polemiche e stimola contrapposizioni.
Credo che, al di là del Presidente Napolitano, l’Italia Unita sia vista con indifferenza – come tutto ciò per cui non abbiamo speso una goccia di sangue per ottenerla – se non con fastidio; altrimenti, non si spiegherebbe perché nessuno batte ciglio quando, attraverso i “manovratori”, questa Nazione si attira, a livello internazionale la fama di “inaffidabile”; perché si lascia crescere il debito pubblico senza opportune contromisure, se non l’ammortizzatore di colpire e ricolpire fiscalmente le classi meno abbienti; perché si sopporta solo col mugugno (il mugugno dei servi… dei sudditi, non il dissenso chiaro e forte dei cittadini) ogni macchia alla reputazione del Paese, ogni partigianeria, provvedimento ad personam, vulnus alla Costituzione, offesa al Capo dello Stato, tradimento alla fiducia degli elettori.
E sono convinta che l’Italia Unita abbia un’unica via d’uscita per ricompattarsi e risorgere: un Comitato di Salute pubblica tutto al femminile, con una leader che non sia il riciclaggio di usurate donne politiche, o schiacciate nel vassallaggio androcentrico, o aggrappate a posizioni di retroguardia veterofemminista.
Una leader che abbia un vasto seguito di stima e credito e, rispetto alla quale, non si ricada nel solito vizietto che rende così tante donne deleterie alla politica: quello, ahimé, di non saper fare squadra, ma di essere sempre avvelenate da una competitività esasperata, per cui, come per una società commerciale, si crede che una Società funzioni solo se è formata da un numero dispari di soci, inferiore a tre.
Solo quando le donne avranno imparato a lavorare in staff, interessate a spingere altre donne, culturalmente, creativamente, socialmente di valore, alla conquista dei vertici decisionali, usciranno dalla loro minorità e guideranno il riscatto dell’Italia dai troppi danni che la vergognosa conduzione al maschile le ha procurato.
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