ROMA - Mi chiedo se è giusto o meno rendere pubblico il proprio dolore e lo sciamano mi ha risposto… ora che mia madre non c’è più. Non arriva… Non arrivano quelle telefonate… quella telefonata che aveva un richiamo di sangue e di vita, di lontananze e di ferite…
Sono giorni che racconto a me stesso, a mia sorella, ai miei figli, ai miei nipoti, e a chi legge nel mio silenzio la trama della malinconia il taglio della mancanza, madre mia, che incide quotidianamente come una lancia nella terra battuta dalla pioggia e vado avanti così… cercando quelle telefonate che bussavano nelle ore più impensabili…
Da quella domenica non ci sono più telefonate e dire che è triste, soltanto triste, è dire nulla…
ovvero è mettersi una maschera e fingere perché la tua morte, madre mia, non è tristezza, non è angoscia, non è malinconia, non è nostalgia…è molto di più.
Mi chiedo se è giusto o meno rendere pubblico questo dolore che lacera il pensiero e il corpo, strazia le notti e accorcia le albe tra le parole scavate nel cuore e scagliate nell’anima come pietre nel deserto…
Mi chiedo se è giusto o meno rendere pubblico questo naufragio… ma se uno scrittore non ha il coraggio di urlare il proprio pianto quando è pianto vero quale dovrebbe essere il suo esilio – esistenza - viaggio…
Il grido urlante di tutti i figli che hanno ceduto le proprie madri al tempo finito ha una pietà inesorabile in un eterno che pensiamo sia infinito…
Dio mio con chi resti e cosa fai se il dolore diventa vanità…
Ma quelle telefonate non arrivano e sono qui in una attesa che sconfina non solo nella tua assenza, madre, ma anche nella mia perché per noi non eri soltanto madre…
eri la nostra complice, il nostro desiderio, il rompere gli schemi dell’equivoco delle parole taciute e con te si dialogava anche se tu restavi, come ha scritto Simona, una “Matriarca”…
Vero, sei stata una Matriarca …e anche se era difficile accettarlo tu lo sei stata con la tua fierezza, il tuo orgoglio, la tua bellezza e ti parlo non solo da figlio …
Tu una Matriarca e papà un Patriarca con il coraggio della Tradizione…
Sai, in questi giorni ho letto tanti commenti su di te e ho riscoperto il tuo essere signora, nobile, gigante, distinta…
Lo sapevo già ma l’ho riscoperto dalle parole che mi hanno scritto e sono tante…
Parole dedicate a te e a papà…
Siete stati unici e siete nella storia di un paese e non solo nella nostra storia di famiglia…
Mi è di conforto di consolazione di benedizione, uso una parola forte, tutto questo leggere su di te perché ho capito anche cosa sei stata cosa siete stati, nella coscienza di un paese, per noi figli nipoti amanti di questo amore che ha due voci in una sola…
Ed è come “se tutto non fosse vero” ha scritto Pierpaolo…
Eppure quella tua “bellezza di terra e di mare”, come mi ha suggerito Micol, porta il segno dell’indefinibile del tempo che ha la velocità della “girandola” che sembra restare ferma, ma invece, mi ha detto Claudia, è troppo veloce… troppo… e i giorni sono un attraversamento che ci costringono a pensare pensare pensare e pesare pesare pesare la distanza le distanze e in una vacanza di tempo tu sei andata via…
Come potremo fare a meno di te eppure non ci sei più e quando questi colpi spietati precipitano dentro di noi non ci sono ascolti di consolazione di saggezza di culture di saperi perché non servono a colmare il vuoto la separazione l’assenza…
Già, l’assenza… e tu resti per sempre, come ha scritto Virgilio, “negli spazi del ricordo…”.
Resterai ricordo con quelle tue mani e quei tuoi occhi che catturavano il viaggio nella preghiera e nelle magarie della nostra terra… Noi siamo preghiera e magaria…
Questa nostra terra vive della magia della preghiera e se la preghiera non confida nella magheria nulla ha più senso perché apparteniamo a quella civiltà che assomma il mito al sacro…
Oh tu Tiresia se almeno mi avessi avvertito…
Tu, madre mia, donna di una grecità profonda, nel tuo sguardo i confini dell’alta marea e nel tuo passo la dominatrice del Tempio.
Non passeremo per Damasco ma siamo già oltre…e tra gli sciamani la danza della morte è la luce del risveglio…
A te madre Namaste…
Sei stata la mia la nostra complice e cercavi carezze che non diventeranno mai oblio…
“tu eri tanta…” mi scrive Marilena… eri tanta tanto che non riusciva ad abbracciarti, ma tu abbracciavi tutti…
Donna che hai segnato i nostri destini, e continui ad essere per noi destino e profezia con il tuo impeccabile mediterraneo sorriso, sei stata l’àncora per papà e per tutti noi il porto che ci portava via dalle nebbie…
Non sono passati secoli e neppure epoche…
Sento il rintocco di una domenica, una domenica di ottobre e quell’urlo ha il silenzio della preghiera o forse ogni preghiera ha il suo silenzio e tu, madre, non sei un pensiero, sei il pensiero perché, ha ragione Marilena, sei per sempre…
Si può rendere pubblico il proprio dolore?
Non mi rispondo…
Io sono ormai come il vecchio e il mare e dialogo con il mare perché soltanto il mare mi regala la forza il coraggio l’umiltà di andare oltre come un navigante che ha toccato tutte le zattere e i fari sono un lampo immediato che bisogna leggere anche quando tutto intorno è illeggibile o invisibile … e i giorni passano e restano le nuvole nello spazio di Aristofane… e il vento è una marea tra le bifore delle mie mani…
Non ho virgole da concedere o punti da strappare in questa agonia di parole che mi porta tra le distanze….
Oh madre che cerchi le nostre mani…
Ed ora ascolto gli echi da Via Carmelitani…
Mia madre è distante,
nostra madre è distante ed io noi non misuriamo più il tempo con gli orologi…
“Non ascoltare il tamburo dei tuoni, ma il canto di Penelope e vivi la pazienza di Ulisse pur nella sua follia…
ti condurrà nella Terra dove le conchiglie hanno il suono delle Sirene e le onde avranno gli echi della voce di Maria ai piedi della Croce e tu vincerai il sonno del tempo come gli sciamani che vivono d’amore…”.
Sono le parole del mio dio del Sole che mi è giunto in sogno la notte prima che mia madre partisse per il suo viaggio…
Mi chiedo se è giusto o meno rendere pubblico il proprio dolore…
lo sciamano mi ha guardato negli occhi chiedendomi di essere ancora di più impeccabile ora che mia madre non c’è più…
di Pierfranco Bruni
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