ROMA - Cinquew.it ha chiesto alle donne italiane un contributo scritto su una figura femminile apprezzata per le sue gesta, il suo coraggio, la sua cultura. Anche non più tra noi. Di seguito l'intervento di Claudia Postiglione.
Tiziana D’Angelo, figlia di madre terra. Oggi parto per la Giordania, incontro il gruppo con cui condividerò il viaggio, accompagnata dal mio eterno disincanto. Imbarco all’aeroporto di Fiumicino diretta al Cairo, dove mi aspetta il volo per Amman. I paesi arabi hanno una forte tradizione legata al fumo, quasi un rito il narghilè, quindi ho la certezza che in aeroporto troverò un posto dove è consentito fumare. Ed infatti è facile raggiungere l’area fumatori, popolata da uomini dalla pelle scura con la kefiah. Nella stanza tuttavia, in un angolo è seduta una donna dagli occhi chiarissimi, dai tratti occidentali, con in testa porta una kefiah verde le cui frange contornano il volto, vestita con colori sgargianti e foulard mediorientale al collo, con un sorriso bianchissimo e largo ed in mano una sigaretta.
Mi guarda e dice: “Su su, entra, non ti preoccupare di loro”.
Si chiama Tiziana, è italiana, salernitana, anzi napoletana nel cuore e anche nel lessico, nella pronuncia. Parla, chiacchiera, in un attimo mi racconta la sua vita, con un sorriso inimitabile e solare arriva dritta a me, dentro e mi sento a casa. Fa l’attrice di teatro, ha appena girato un film nei Quartieri Spagnoli e vive tra Petra e l’Italia da circa sette anni. Tra una parola e l’altra riesce a farmi ridere con la sua energia contemporanemente comica e tragica, d’altronde la sua formazione all’accademia d’arte drammatica traspare. Ha una voce forte, profonda, arriva dal centro del petto e coglie il bersaglio. Si muove con estrema disinvoltura e giusta dose di femminismo nel maschilista mondo islamico. E’ lì perché aspetta il volo per Amman.
Sento che la mia vera compagna di viaggio sarebbe stata lei, le chiedo di lasciarmi i contatti, mi invita a chiamarla quando sarò a Petra. Una sensazione di familiarità e anche di incredulità un po’ cinica si fa spazio in me, perché nei pochi minuti di una sigaretta avevo stabilito un legame forte, ma non ero certa che avrei rivisto Tiziana. Forse i suoi erano stati convenevoli superficiali? Qualche giorno dopo l’arrivo in Giordania, raggiungo finalmente il villaggio di Wadi Mussa, dove è collocato l’albergo che costituirà la base per le escursioni a Petra. Penso a Tiziana, ancora scettica non credo che la incontrerò, e forse, se pure la chiamassi mi direbbe che ha altro da fare. Ma allora perché avrebbe dovuto lasciarmi i suoi contatti? La prima giornata di visita del sito archeologico scivola via assieme a sciami di persone intente a fotografarne ogni angolo. Prendo tempo. Ma supero ogni dubbio e la sera, rientrata in albergo, provo a chiamarla, sono fortunata. Il nostro appuntamento è per il giorno dopo nel sito di Petra. Il mio scetticismo mi accompagna ancora perché non so spiegarmi come possa avvenire il nostro incontro nella vastità di Petra, soprattutto tra la folla di migliaia di turisti, senza aver specificato né luogo, né orario. Sono troppo occidentale.
Il secondo giorno a Petra inizia per il verso giusto e soprattutto mi ricompensa della sveglia mattutina all’alba. Con il gruppo arriviamo molto presto ed è pressoché deserto, siamo senza la guida. Solo le nostre voci, i nostri passi. Di nuovo passeggio al Siq, arrivo al Tesoro e sorseggio un caffè turco caldo, buono meditando sulla bellezza. Sembra che i ritmi frenetici del tour si siano un po’ dilatati. Rivedere Petra così è un’altra esperienza. Un trekking al Monastero immersi nel silezio mi ricompensa della fatica. Penso a Tiziana, mi domando come potrò incontrarla in questa immensità.
Ma di rientro, giunti finalmente alla fine della scalinata, mi sento chiamare. E’ lei! Non posso crederci! Ci siamo incontrate. Abbracciandomi mi dice: “Hai visto? Ci siamo incontrate!” ed io sorrido contenta. E’ una donna velocissima, nel sentire, nel parlare, nell’organizzare. Mi dice: “Non ti preoccupare, andiamo al Sacrificio con il mulo”. Ultimi convenevoli e appuntamenti con il mio gruppo e mi allontano con lei.
“Ora berremo il thè, lui è Mahmud!”, mi presenta quest’omone dai capelli lunghi e crespi coperti da un cappello a falde che cavalca il suo mulo. Sento che qualcosa cambia, intendo dire che cambia tutto, solo che non riesco a capire esattamente cosa. Forse non ero più una turista. Entriamo in una grotta nabatea che si trova alla sinistra delle grotte imperiali, un po’ più in basso della passeggiata che conduce alla vista sul Tesoro. Mahmud smonta la sella dal mulo, sulla sella porta una sacca che pende dai due lati nella quale trasporta varie suppellettili, lega il suo mulo, gli fa qualche carezza parlandogli dolcemente. Stende la sella nella grotta nabatea, come fosse un manto e mi invita ad accomodarmi. Tiziana mi mostra i segni neri sul soffitto, dei buchi in alto atti a contenere delle travi, insomma la zona adibita a cucina e mi dice che lì abitavano le famiglie beduine, fin quando non lasciarono Petra a seguito della promessa governativa, di conservare la gestione di Petra, naturalmente una promessa non rispettata negli anni. Mahmud estrae dalla sacca dei rametti di legno, una teiera, del thè, dello zucchero e dell’acqua, sistema a terra delle piccole pietre disposte in maniera circolare sulle quali bollirà l’acqua. Mi arriva alle narici un odore molto forte appena accende il fuoco e guardandomi mi dice che si tratta di rami di ginepro. Avete mai bevuto il thè bollito su un fuoco di rami di ginepro in una grotta nabatea assieme ad un giovane e forte beduino e ad una donna formidabile?
Tiziana canta canzoni palestinesi, un’eco perfetta nella grotta, la luce perfetta, una condizione straordinaria. La voce di Tiziana è forte e scura, Mahmud canta con lei, le suggerisce qualche parola in arabo. Da fuori arriva vento caldo, mentre la frescura della grotta ci protegge. Tiziana continua a cantare, magico incantamento, il thè è pronto, due bicchierini di vetro vengono sciacquati e sorseggiamo in contemplazione.
Mi sento piena, attraversata dalla verità che solo la terra ci restituisce quando sappiamo ascoltarla. La semplicità di questa tribù Bdul alla quale appartiene Mahmud va al di là della mia immaginazione. Guardo entrambi e poi me stessa, le mie scarpe tecniche, il mio zaino multi-scomparto, il mio pantalone di lino e capisco che c’è ben poca felicità in queste cose.
Tiziana mi racconta che è stata lontana da Petra per otto mesi e deve salutare la sua tribù, gli anziani, i bambini, i suoi amici. Quelli che l’hanno incontrata credono che Tiziana sia stata via per un anno e mezzo, hanno un’idea del tempo molto diversa dalla nostra, non è scandita elettronicamente, ma naturalmente. Dopo il rito del thè, ci incamminiamo. Tiziana si avvicina alle grotte occupate dalle famiglie Bdul e inizia una festa, una gioia collettiva, saluti felici nella lingua locale, abbracci e i tre baci sulla guancia sinistra. Gli stessi bambini che avevo fotografato il giorno precedente e al mattino sono qui attorno a noi, non sono più una turista, sono una persona che assiste ad un miracolo.
Tiziana passo dopo passo, incontro dopo incontro non trascura mai di raccontarmi la storia di ogni persona che saluta, la storia di questo popolo. Mi dice i nomi di tutti, tutti la salutano come se fosse una di loro. Più tardi in molti mi diranno: “She is beduin inside”. Ad ogni sosta ci viene offerto del thè, del succo d’arancia, qualunque cosa possano offrire perché l’ospitalità è sacra. Rifiutare un’offerta di un beduino è un’offesa. Gli uomini sono molto belli, i giovani sono molto fieri, gli anziani silenziosi, le donne amano Tiziana, alcune più anziane sono così tenere e il volto gli si illumina nel rivederla, come fosse una figlia che è stata via per troppo tempo. Ad un certo punto, noto che alcune giovani donne arabe ben vestite guardano Tiziana con disapprovazione, con un’espressione di disprezzo sul volto. Chiedo a Tiziana il perché guardano solo lei così e non me, in fondo siamo entrambe occidentali. Mi spiega che lei è diversa, non è riconosciuta come turista. Infatti Tiziana indossa una kefiah verde come fanno gli uomini, porta un orecchino al naso collegato all’orecchio da una catenella d’oro e parla la lingua Bdul. E’ una figura scandalosa per le arabe moderne. Il nostro giro prosegue, ci inerpichiamo sulle scale nabatee che portano al Sacrificio, Tiziana cavalca un asino dirigendone il passo con parole arabe.
Sento “Arowah, Arowah, tshhh, tshhh”, suoni che ho ancora nelle orecchie. “Tieni il peso indietro in salita, tieni la corda, metti la punta dei piedi nelle staffe! E’ difficile far fare qualcosa agli asini, non è difficile che capiscano, è difficile che decidano di farlo”. Altro insegnamento è che l’asino non è ignorante.
Arriviamo al Sacrificio, una sosta per salutare altri amici di Tiziana, una donna con due figli, che gestisce un punto di ristoro. Non voleva farsi pagare il caffè offerto, rifiutando con un sorriso che viene dal cuore, e mi commuovo perché questa gente povera è tanto più generosa e valorosa di molte persone che conosco. Hanno poco e danno tanto. Ho l’impressione che ci sia una felicità che non conosciamo e quando ci attraversa non capiamo cos’è il sentimento che ne deriva. La felicità si scopre in mille forme. E sorpresa cerco con gli occhi la risposta alla mia, scruto i volti della gente, quelli dei turisti, poi di nuovo i volti Bdul, poi Tiziana, e mi sento meglio. Mi sento bene, sento di appartenere alla madre terra, di soffrire perché ne vivo lontana, troppo lontana troppo a lungo.
Dall’altura del Sacrificio riprendiamo il giro, a piedi. Tiziana mi dice che vuol comprare un pezzo di terra, stanziarsi definitivamente perché sente che la sua casa è qui. Ed io le credo, la comprendo come se fosse una mia verità. Le chiedo quanto costa un asino, mi risponde che costa 100 o 200 dinari. Ed un mulo? Può costare anche 2000 dinari. Lei vuole un suo asino, la sua terra, la sua casa. La costruiranno con le pietre che le procureranno i suoi amici Bdul.
Mahmud ci accompagna e festeggia il rientro di Tiziana, ma dovrà saltare la sua giornata di lavoro. Stasera non avrà di che mangiare. Ho solo un’arancia da condividere per pranzo e lo faccio. Così Tiziana mi racconta della sua storia d’amore ed io lo stesso. E’ una donna positiva, mi sorride mentre parla, mi parla mentre sorride. Ha molto da raccontare, da condividere.
L’esperienza di un figlio, ma i bambini di Petra sono figli suoi. Le donne le chiedono consigli, gli uomini la rispettano, il villaggio la ascolta.
Siamo raggiunti da un giovane uomo Bdul in sella al proprio mulo. Capelli lunghi, silenzioso. Prende del thè, chiacchiera poco, per lo più scruta l’orizzonte. Il mulo di Mahmud si rotola nella sabbia, si stende sulla schiena. Mi spiegano che gioca. Forse è felice perché il suo padrone lo ama, ed il suo padrone lo ama perché lui sia felice. Così scorre il tempo, in una magia inenarrabile e il sole si avvia a calare. Al tramonto Petra diventa rosa. E un’immensità che rende lieve il respiro ed al contempo fa respirare. Ma è tempo di andare.
Tiziana sale in groppa al mulo di Mahmud, una bestia forte capace di portare due persone. Capisco a questo punto che anche a me toccherà cavalcare assieme all’amico di Mahmud. E così sia. Questi scende, fa salire me, poi porta il mulo vicino ad una roccia abbastanza alta affinché, bloccando il mulo, riesca a salire agilmente in sella davanti. Si parte. Ci dirigiamo al villaggio di Umm-Sayhun, dove sono stati relegati i Bdul, in scomode case di pietra che per loro sono come prigioni rispetto allo spazio di Petra, dove hanno potuto vivere in passato. Un altro popolo spodestato.
Tutti i beduini, dopo aver trascorso la giornata a Petra provando a vendere souvenir ai turisti, fanno ritorno al villaggio di sera. Nessuno più può vivere a Petra. Il crepuscolo arriva, Petra si vuota, magica, rosa, silenziosa. Vento caldo, sospensione del tempo, cielo terso, ma di un profondo rosa, come le rocce. Tiziana mi dice: “Guarda, ecco le tombe dei Re!”. Abbiamo percorso la vallata che dall’altura del Sacrificio ci ha portato per un’altra via alle magnifiche tombe. Molte tombe hanno sulla sommità della facciata scolpiti degli scalini regolari, di sezione quadrata che formano due scale che si allargano verso l’esterno. Questa è una simbologia assira che sta ad indicare che tutto si eleva verso il cielo.
Petra è nostra, non c’è più nessuno, solo i beduini, i veri padroni di Petra. Mi dice Tiziana che andremo al villaggio attraverso un’antica strada nabatea. Saprei ripercorrerla da sola tanto mi è rimasta nell’anima.
Ancora a valle, i nostri muli avanzano mentre lasciamo le tombe a destra; io sono attaccata alla schiena di questo ragazzo Bdul che ha un buon odore, è un giovane fiero, di tanto in tanto si sistema più avanti in sella affinché io non stia scomoda. Sento il cuore che mi batte forte. Avete mai cavalcato un mulo abbracciati stretti ad un giovane beduino di Petra percorrendo un’antica strada nabatea al tramonto nel grande silenzio della vita?
Un uomo con la tunica ed il fez, in groppa al cammello, ci incrocia sulla via del rientro, saluta Tiziana, il volto gli si illumina di gioia, parlano, parlano, sorridono. “Arowah! Arowah!” Me lo ripeto: “Arowah!”
Vorrei sentire adesso: “Arowah”. Quella strada la percorrono solo i Bdul, e Tiziana. Ecco: la perfezione. Sento che ho conosciuto la perfezione, qualcosa che non potrò mai dimenticare quando cercherò il significato dei gesti che tutti i giorni compio meccanicamente. So che tornerò a Petra per vedere una stella cadente, la terza che ho sperato di vedere quella notte per dedicare un desiderio positivo a Tiziana. Prima di salutarci, sotto le stelle della Giordania, mi dice che il nostro incontro non è stato per caso, che è stato un incontro vero.
Il mio desiderio è che lei costruisca la sua casa su un pezzo di terra che appartiene ai Bdul, che in quella casa viva l’amore per la sua gente perché è per questo che vale la pena di vivere a questo mondo. Sogno che tutti i bambini di Petra siano i suoi figli.
Tiziana D’Angelo, è un’attrice italiana diplomata all’Accademia teatrale del Bellini – Napoli.
la donna che amo
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