NOTO (SIRACUSA) - Carissimi presbiteri e diaconi permanenti, vi saluto cordialmente, nella speranza che solo il Risorto crea nella nostra esistenza, trasformando i nostri cuori continuamente, di giorno in giorno, rendendoli “cuori umani”, capaci di lacrime vere per le tante ingiustizie, per le innumerevoli sofferenze, ed oggi per la tanta afflizione che cogliamo nei tanti fratelli profughi, molti dei quali nemmeno giungono sulle nostre coste, perché muoiono in mare. Papa Francesco è stato molto chiaro nel suo ammonimento: “aprite con coraggio i conventi chiusi alla solidarietà”. Ha voluto per altro essere “crudamente chiaro” quando ha detto che le strutture chiuse non dovrebbero essere indirizzate a ristrutturazioni per far profitto, ma alla solidarietà verso questi nostri fratelli.
Pertanto, facendo seguito al mio appello alla fine del Convegno diocesano, “ascoltato il Consiglio presbiterale”, in sintonia con i successivi appelli della Caritas italiana e delle Caritas di Sicilia riunitesi a Lampedusa nei giorni scorsi, vi chiedo di aprire il vostro cuore, di acuire la vostra intelligenza e sapienza, per uno sforzo ulteriore (e più grande) nell’accogliere i fratelli profughi che sbarcano nelle nostre coste, intensificando ciò che già spontaneamente si fa o si è fatto da parte di singole comunità ecclesiali e da tante persone di buona volontà.
Mentre pensiamo nel tempo ad un segno diocesano, utilizzando le strutture esistenti, (che certo necessitano di interventi di sistemazione e di adeguato supporto umano per un’accoglienza dignitosa), invito le parrocchie e le comunità religiose a verificare le loro possibilità attuali di accoglienza, in termini di strutture idonee e già pronte e, soprattutto, di un’adeguata rete di volontariato per l’accompagnamento. Chiedo dunque ai Vicari foranei di fornire al più presto una mappatura di queste strutture, quanto più estesa al momento e senza “scremature particolari”. Le varie ipotesi potranno poi essere meglio precisate attraverso un raccordo con la Caritas diocesana, che farà da tramite anche per ogni contatto istituzionale da parte delle realtà ecclesiali della nostra diocesi.
Le iniziative di accoglienza certo avranno bisogno anche di supporti economici che dovranno essere il frutto di una vita più sobria e fraterna. Fin d’ora vi comunico che dedicheremo all’aiuto degli immigrati e dei profughi le offerte dell’Avvento di fraternità di quest’anno. Contemporaneamente, nei cammini di fede - secondo quanto proposto dagli uffici diocesani (catechistico, liturgico, Caritas) - matureremo passi concreti e corali di vera e duratura carità.
Cercheremo anche di conoscere meglio i Paesi di provenienza dei profughi per riflettere su come fare fronte a quella che papa Francesco chiama “la globalizzazione dell’indifferenza”. Ci uniremo poi a tutte le iniziative attraverso le quali si richiedono leggi adeguate con cui riconoscere la dignità e il diritto alla vita di ogni persona che fugge dalla guerra e da persecuzioni e con le quali s’invocano forme di asilo e corridoi umanitari. Facciamo altresì nostra la proposta di una Conferenza del Mediterraneo che, con il nostro Giorgio La Pira, vogliamo pensare come mare di pace e d’incontro tra civiltà e popoli nella “convivialità delle differenze”.
Nel frattempo, sul piano più immediatamente operativo e progettuale, vi comunico di aver istituito una Commissione tecnica che per conto della Diocesi dovrà interloquire autorevolmente con le Prefetture di Siracusa e di Ragusa: il Vicario Generale, il Direttore della Caritas, l’Economo diocesano, il Direttore dell’Ufficio tecnico, il vicario foraneo di Scicli, il vicario foraneo di Avola e il Vicario episcopale per la cultura. Li ringrazio molto per aver accettato di lavorare con zelo e cura affinché l’appello del Papa assuma nella nostra Diocesi forme concrete e si esprima in gesti e segni di Vangelo.
Mi sono sentito per altro più volte con i rispettivi Prefetti di Siracusa e Ragusa, i quali si aspettano da noi grande collaborazione, per l’affidabilità che ci riconoscono, proprio per la “profezia” che portiamo nel nostro DNA: noi amiamo le persone che accogliamo perché Gesù lo chiede, perché il Padre di Gesù è anche “Padre loro”, essendo “Padre nostro” e noi tutti - anche loro, sono “nostri fratelli”. Oggi il cristiano potrà dunque dire “Padre nostro”, solo se a queste persone potrà/vorrà dire “sei mio fratello”.
Vescovo di Noto, Monsignor Antonio Staglianò
|