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Barbara Schiavulli a Cinquew.it: nel cuore delle guerre e nell'animo dei soldati

schiavulli-e-petraeus1 ROMA - La Guerra Dentro (le emozioni del soldati), Edizioni Youcanprint, ultimo libro di Barbara Schiavulli, ci fa conoscere l'animo dei militari in missione. La vita, la morte, la paura dell'essere umano. Alla giornalista di guerra e scrittrice, che ha seguito i fronti caldi degli ultimi vent’anni, come Iraq e Afghanistan, chiedo anche di aiutarmi a capire alcuni aspetti di vicende accadute sia durante i conflitti sia lontane dai medesimi.
Schiavulli, la parte più dura di questo suo ultimo lavoro editoriale...
La prima difficoltà è stata ottenere tutte le autorizzazioni. I militari non possono parlare liberamente con i giornalisti. E' stato surreale chiedere il permesso per amici con i quali parlo normalmente di tutto. Ma per metterlo nero su bianco avevo bisogno dell'ok dei vari Stati Maggiore. La seconda difficoltà è stata farsi autorizzare ad intervistare un capitano delle forze speciali. Per lui ho dovuto combattere, le forze speciali sono ancora un tabù, non se ne parla, non vengono mai feriti anche se ce ne sono, non si fanno mai nomi. Devo dire che il mio progetto è stato capito, il che ha reso le cose più semplici. Dieci anni fa, sarebbe stato impossibile, ora i rapporti tra militari e giornalisti stanno migliorando a vista d'occhio. Il terzo ostacolo è stato far parlare persone che raramente esprimono i loro sentimenti su due piedi. Come tutti, alcuni erano più spigliati, altri più riservati, qualcuno perfino timoroso. Alla fine della nostra conversazione, qualcuno ha tirato un sospiro di sollievo. La cosa più interessante è che nessuno si è tirato indietro. Erano curiosi di ascoltarsi quanto lo ero io.
C'è futuro nel libro, o solo passato e presente?
Ci sono emozioni nel libro. C'è quello che hanno passato, ci sono le conseguenze delle loro azioni e c'è la speranza. Penso al ferito, che ha visto la sua vita cambiare nel tempo di un'esplosione. Che ha lottato per sopravvivere credendo di morire, che ha chiesto ai medici che lo stavano per operare di dire alla sua ragazza che l'amava. Quando l'ho incontrato si stava riprendendo piano piano. Voleva tornare a lavorare. Le sue priorità di ragazzo erano cambiate. Oggi, Gennaro Masino è tornato al lavoro, e quella ragazza a cui diceva addio su un lettino di un ospedale da campo, se l'è sposata.
L'occhio è fondamentale per un raccontatore di guerra. I suoi occhi e quelli di bambini, donne e uomini impauriti dalle bombe...
L'importanza di un inviato è quella di avere qualcuno di cui ci si può fidare, che ci racconti quello accade. La puzza della guerra, i colori, gli sguardi, quei dettagli che nessuna agenzia giornalista può rilevare. L'inviato è una spugna che assorbe quello che lo circonda, o lo trasmette ai suoi lettori. Si parla spesso degli occhi dei bambini, ma non è solo quello, è il modo in cui ti si aggrappano quasi a volerti chiedere di portali via da qualche posto, è il modo in cui sono silenziosi anche quando sono feriti come se sapessero che piangere non serve a niente perché non cambia niente. Gli adulti invece traboccano di rabbia, di frustrazione, di dolore. Di domande alle quali non trovano risposte, perché la guerra è una condanna che viene imposta ai civili, soprattutto alle donne e ai bambini.
Moni Ovadia, ripete spesso "Italiani, brava gente... Non sempre è vero!". Ma in guerra, i nostri connazionali, sono sempre brava gente o anche loro si macchiano, o si sono macchiati, di cose turpi, come quelle addebitate ad altri eserciti di grandi potenze mondiali? Si sono lette, in passato, storie di violenze su donne che vivevano in Paesi nei quali erano in atto dei conflitti...
Le Forze Armate da quando è stata cancellata la leva sono cambiate molto. Adesso ci sono professionisti, gente che sceglie questo mestiere e che in linea di massima lo fa credendoci. Il che significa che il livello di addestramento, consapevolezza di quello che fanno, conoscenza si è molto alzato. Ciò non toglie che gli imbecilli siano ovunque, ma non mi risulta che di recente ci siano stati episodi come quelli in Somalia per quanto riguarda gli italiani. O come Abu Ghreib per gli americani. Una volta mi arrabbiai con un ragazzo che si era sollevato la manica della mimetica e mostrava un tatuaggio enorme con la bandiera italiana che girava intorno ad una svastica. Andai da un superiore, mi infuriai. Ognuno di quei uomini rappresenta lo Stato, rappresenta noi. Ognuno può credere quello che vuole, anche se non mi piace, ma nel momento in cui indossa una divisa c'è quello che rappresenti. Comunque è vero, oggi l'immagine che hanno i soldati italiani nelle missioni all'estero è buono. Gli afghani, gli iracheni, tutti confermano che gli italiani sono socievoli, ascoltano, hanno meno paura o la mostrano meno. Sono riusciti a essere o sembrare meno invasivi dei colleghi americani. In Libano ogni volta che una pattuglia italiana passava in un paesino, i bambini uscivano e cominciavano a tirare sassi al mezzo. Tutti i giorni. Ovviamente non facevano nessun danno. Ma non era una bella immagine ed era fastidioso. I ragazzi della pattuglia ci hanno pensato un po' su. Altri contingenti stranieri li avrebbero ignorati, o minacciati, o avrebbero cambiato tragitto. Gli italiani hanno portato dei palloni, sono usciti dai mezzi, si sono calati i pantaloni delle divise e si sono ritrovati in calzoncini. Nel giro di un mese hanno avevano su una squadra di calcio per bambini.
Esistono gli Stati canaglia, si può parlare anche di Forze Armate canaglia?
Si può discutere su quali siano gli stati canaglia. Ogni Stato pensa di essere dalla parte della ragione. Gli Stati Uniti si sono eletti gli sceriffi del mondo e scatenano guerre a destra e manca come se fossero l'unica soluzione possibile. Poi però sono anche i paladini dei diritti e della giustizia. La guerra in Iraq è stata scatenata su una bugia, che c'erano le armi di distruzioni di massa e invece non c'erano. L'Iran uno dei Paesi dell'asse del Male per anni è stato chiuso in se stesso, perché le pressioni occidentali e la minaccia di attacchi impedivano alla gente di confrontarsi liberamente, di andare contro lo stato se avessero voluto. Quando sei minacciato ti stringi intorno al tuo Stato anche se non ti piace. Riguardo alle Forze Armate, vale lo stesso per quelle delle dittature. Militari che uccidono i propri cittadini è orribile. Ma lo sono anche gli americani che torturano coi cani, iracheni innocenti e umiliati. E poi vengono condannati a pene miti. Il problema è complesso. Tanti anni fa, aiutai una donna a partorire sul ciglio della strada perché un soldato non la lasciò attraversare il posto di blocco per andare in ospedale. Lui era israeliano e lei palestinese. Canaglie sono le persone che perdono la loro umanità, la capacità di andare contro le regole quando è necessario a costo della propria vita e del proprio lavoro.
Schiavulli, Gheddafi e bin Laden dovevavo per forza essere ammazzati? Nei due casi, le quadra tutto?
Questi leader, per quanto abietti dovevano essere uccisi. Una volta presi avrebbero potuto raccontare cose spiacevoli su come gira il mondo e il quel mondo ci siamo noi, ci sono i francesi, gli americani, gli inglesi, i sauditi e così via. Nessuno vuole sentire parlare queste persone. Nessuno che abbia la coscienza pulita. Seguii il processo di Saddam, mi sembrava surreale che venisse processato e condannato per un episodio brutto, ma piccolo rispetto a tutto quello che aveva combinato. L'uccisione di un centinaio di persone che aveva cospirato per ucciderlo. Quell'uomo aveva ammazzato migliaia di kurdi e sciiti ed è finito sulla forca per aver aver ucciso persone che volevano farlo fuori. Da vivi, questi dittatori, sarebbero stati troppo pericolosi per tutti.
In uno scenario di guerra, c'è differenza tra una giornalista e un giornalista? Chi apre le porte da aprire con meno difficoltà?
Per le donne è più facile, la guerra è un mondo maschile e sono sicura di essere stata aiutata più io nell'ambiente militare che i colleghi uomini. Detto questo, hai l'altra faccia della medaglia, sei una donna e quindi o ti conquisti la loro stima o sei solo una bella ragazza che rende migliore lo spazio che li circonda. Gli uomini, invece, hanno argomenti in comune. Ci ho messo del tempo per essere considerata solo una giornalista. Ogni tanto ne approfitto, con le donne sono più gentili, perfino dall'altra parte, quello della militanza è più rispettoso verso una donna. Non si aspettano che questa discuta, litighi, si confronti, e questo li spiazza e li incuriosisce. E poi, per una donna è più facile entrare in contatto con le donne musulmane, mentre i colleghi maschi non hanno accesso, alle scuole coraniche femminili, per esempio o anche solo ad intervistare la moglie di qualcuno. Ho intervistato qualche imam che non mi ha mai guardato in faccia interagendo solo con il mio traduttore, ma non mi interessava affatto, non ero lì rappresentare le femministe, ma per portare a casa un'intervista. Di sicuro l'uomo ha qualche vantaggio fisico, soprattutto nei viaggi lunghi e complicati. Noi dobbiamo sempre cercare un bagno e in guerra non è sempre facile. Se sparano o c'è un'esplosione, non c'è differenza tra uomo e donna. Ma in una situazione di violenza credo che gli uomini siano più in pericolo, vero che una donna rischia l'aggressione sessuale più di un maschio. E una mia cara amica sequestrata in Somalia per 14 mesi, ha subito violenze indicibili. Ma lo sai. Sai che questo tipo di rischio lo vivi ovunque anche nel tuo paese. Sei abituata a stare attenta, te lo insegnano fin da piccola che gli uomini sono capaci anche di questo abominio.
Dottoressa, due o tre banalità che da sempre ha sentito dire sulle guerre.
Più che altro sui posti o le religioni, i musulmani sono tutti fanatici per esempio. Che i militari guadagnano un sacco e che sono volontari. Che c'è uno scontro tra Occidente e Oriente. In Afghanistan, uno dei Paesi che amo di più, la gente era talmente povera e ignorante, nel senso che non aveva alcuna conoscenza che molti quando sentirono che erano cadute le torri gemelle pensarono che fosse accaduto a Kabul perché era l'unica città grande che conoscevano. L'estremismo appartiene a tutte le religioni. E non rappresenta la maggior parte dei credenti. Ho conosciuto gente perbene, coraggiosa, forte. Le persone sono quello che hanno dentro, non il posto da dove vengono o la religione a cui appartengono.
Lei, con “Le farfalle non muoiono in cielo, storia di una kamikaze che non voleva morire” (Meridiana) e “Guerra e Guerra, una testimonianza” (Garzanti), ha vinto premi giornalistici. Quando si ottiene un riconoscimento, cosa si pensa? Si cambia anche un po' o resta tutto come prima?
Ho pensato che qualcosa sarebbe cambiato, poi ho capito che non vivo in un Paese normale. Ho sempre sperato che qualche giornale, prima o poi mi assumesse. Ho avuto la presunzione di pensare che se fossi stata abbastanza brava qualcuno mi avrebbe voluto. Poi ho capito che ero più comoda fuori dal sistema, costavo meno, non ero un rischio per loro. Un giornale per cui scrivevo da anni, mi ha buttato via, quando dissi che sarei tornata in Iraq dopo il sequestro della Sgrena. La Farnesina aveva chiesto ai giornali di non mandare nessuno. Il direttore di Avvenire per il quale scrivevo, mi disse di non tornare che gli era stato detto che sarei stata rapita. Mi sembrava orribile abbandonare quel Paese, c'erano i colleghi di tutto il mondo. Era pericoloso certo, ma è il nostro lavoro, rappresentiamo qualcosa che per me è importante. Sono tornata senza la mia collaborazione principale, ma non potevo non farlo. Lo dovevo al mio lavoro e a quella gente. Questo lavoro è una promessa. Di esserci, con onestà e competenza. Sono tornata, e sono tornata ancora. Per anni sono stata l'unica giornalista italiana in Iraq. Ho lavorato per altri giornali, ma ci sono rimasta così male. Altre colleghe americane e francesi, dopo esperienze simili, sono state tutte assunte. Ma in Italia sul curriculum non devi avere quello che hai fatto, ma di chi sei figlio o con chi hai avuto delle storie. E in questi settori non ho competenze.
Chiudiamo comunicando ai lettori di Cinquew.it dove è possibile trovare questo suo ultimo lavoro, il nome dell'editore e quanto costa...
Il libro è possibile trovarlo in versione cartacea (12 euro) e ebook (5,99) in tutte le librerie online o è possibile ordinarlo in libreria. Edizioni Youcanprint.

di Giuseppe Rapuano
Data:  17/10/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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