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Cinema, teatro e televisione: Cinquew.it in viaggio con Enzo Antonio Cicchino

cicchino-enzo-antonio ROMA - Enzo Antonio Cicchino, autore televisivo e regista, tanta esperienza in programmi Rai. Lo scrittore, su Cinquew.it, parla di teatro, cinema e società, della sua vita professionale. Ma mi aiuta anche ad approfondire, brevemente, degli argomenti che suscitano la mia curiosità.
Cicchino, i momenti che stiamo vivendo si prestano più a rappresentazioni teatrali, al grande schermo o alla fiction?
Per denuncia e protesta meglio il teatro, che permette di essere sintetici e popolari insieme, crea empatia. Dolore, disoccupazione, fame, orrore in mare, titanici sono solo al cinema. Mentre il parossismo grottesco della chiacchiera o della ipocrisia sulla morte trovano il loro spazio migliore nella fiction.
Sarebbe assurdo una esistenza di solo attori per il teatro e di soli attori per il cinema? Dove ritiene si riscontri maggiormente la bravura di un artista?
Ovunque. L'arte è l'intelligenza in azione. Eppoi, teatro e cinema sono lo stesso universo dell'uomo, con una sola differenza. L'apertura del sipario sprigiona la propria forza dalla scena verso lo spettatore, però è schiavo dell'impossibilità di far leggere le sfumature del volto di chi recita; confida tutto nel gesto plateale. Eppoi, nella parola; valore principe che dipende dalla qualità del porgerla e soprattutto dalla potenza della scrittura. In sè il teatro è rivoluzionario perché potenzialmente è senza mediazione, diretto, nell'istante in cui decide di essere, cosa che non accade a molte arti.
Al contrario, nel cinema il suo motore emotivo è lo spettatore (a cavallo della macchina da presa) che va verso l'attore, gli si avvicina, gli si allontana, a volontà ne legge i palpiti più intensi e ad un centimetro dalla pelle. Il silenzio è già racconto.
Quanto al genio del protagonista, questo è nel suo karma di comunione con l'altro. Ma l'arte è globalità, si esprime sempre e solo attraverso l'armonia di tutti gli elementi che la compongono. Un magnifico istrione... con un pessimo testo ed una pessima regia crolla su se stesso. Al giorno d'oggi nelle accademie si fa insieme teatro, cinema, televisione. Si richiede estrema duttilità.
Secondo lei, Pirandello ed Eduardo tendono a una scarnificazione completa dei loro protagonisti, della vita, di quello che siamo nel celato o la loro è solamente realtà vera e propria, magari con meno profondità di quanta ne sia stata attribuita ai due Grandi nel corso degli anni? Addirittura, e per assurdo, trasformando il soggetto umano in oggetto freddo?
Non credo nella freddezza del testo o della sua struttura. Se è, lo è da scrittore, altrimenti è nulla. Intanto dei due scarnificatori preferisco il primo. Il siciliano è davvero asciutto, essenziale. E' grande chirurgo dell'anima e delle sue multiformi convergenze. I suoi Personaggi sono il frutto di una devastante collisione di viaggiatori e treni; e molti, provenienti dalle più incredibili sedi. La scena è un rallenty in cui la macchina del tempo ripercorre avanti e indietro gli attimi della conflagrazione. È qui che s'applicano le leggi della fisica e della psiche, si raccolgono i frammenti, i resti, le energie disperse, e rinasce la realtà. Ma che vive solo nell'attimo della sua concezione e non più oltre. Svanisce nell'attimo in cui hai l'illusione della sintesi! E subito si è costretti a ricimentarsi. Questa impresa continua ossessiva del costruire è la magia pirandelliana. E' lo svanire improvviso non appena hai l'impressione del tutto. E' questo che ti uncina la sua modernità.
Cicchino, tra i grandissimi di televisione, teatro o cinema chi riporterebbe in vita. Dove li vorrebbe incontrare? Un complimento e un rimprovero...
Televisione: Walter Chiari. Lo vorrei incontrare a Salò nella cui Repubblica combatté e difese, trascorrendovi i 600 giorni più terribili della sua giovinezza. Ha saputo donare alla telecamera per un trentennio ...anni 50/60/70 una memoria spirituale terribile in chiave comica, surreale, grottesca e non priva di eros, ispirandosi a Ionesco, Beckett ed i grandi. Il rimprovero... è come sia riuscito a distruggere la felice originalità... con una presunta spolverata di cocaina.
Il teatro: Vittorio Gassman. Lo incontrerei se non a Berlino certo in Germania, presso la casa del padre, l'ingegnere Heinrich, da cui apprese la lingua di Goethe e Heine. Ho stimato l'infinita sottigliezza del mattatore ch'è sempre sopra le righe, giocando e turbando senza mai violare. Un rimprovero, la depressione. Ho trovato incredibile che un uomo come lui, che ha avuto tutto dalla vita, potesse soffrirne come il peggior fallito. Un vero peccato.
Del cinema prediligo l'assoluto figlio divino più vigoroso della Comoedia dantesca: Orson Welles. Gli verrei incontro dinanzi al falò della slitta ROSABUD sul set di Citizen Kane. Vorrei chiedergli se oltre al totem dell'immaginario inaccessibile del protagonista di Quarto Potere, tra le fiamme, non bruci pure il più profondo se stesso: quel desiderio di leggerezza e di levità che non ha mai vissuto e che il potere del suo genio gli ha tolto per sempre, obbligandolo a fama eterna.
Chi è il Carmelo Bene dei nostri tempi?
E' Ber Lus. Ma solo per gli aspetti peggiori, quelli in cui Bene faceva la pipì addosso al pubblico.
La concezione delle arti teatrali nel regime fascista-nazista e in quello comunista. I messaggi lanciati in quegli anni...
Il vero teatro non è mai di regime. Tuttavia ove lo fosse, in ogni caso, il messaggio prediletto è il vuoto più innocuo. O il totale annullarsi del protagonista nella volontà della massa.
Ritiene positivo il tentativo di riportare il teatro in televisione?
E' ancora presto per dirlo. E' necessario prenderne atto. Per ora v'è solo una ragione di format e costi più gestibili. L'interessante è sorprendersi se porterà alla nascita di un nuovo genere.
Il film che ha visto più volte, perché?
Una esperienza che risale alle avventure passionali della giovinezza: 1977. "Padre Padrone" di Paolo e Vittorio Taviani. A Pisa, studente. Entrai nel cinema di Corso Italia alle ore 15 ed uscii a mezzanotte. Lo vidi quattro volte di seguito. Era l'innamoramento. La apparente semplicità della storia alleviava la fatica della visione. La complessità della materia narrata e la sua originalità di stile eccitava la materia grigia. Riuscii ad avvicinare i due grandi fratelli. Nel '78 fui loro assistente alla regia nel film "Il Prato". Nel 1980 ne "La notte di San Lorenzo".
Cicchino, avverte qualcosa di diverso leggendo un libro scritto da una donna e un libro scritto da un uomo?
Se parliamo di grande letteratura no. Nel caso si percepisca, è solo una volontà precisa dell'autore. Nella scrittura prevale una bisessualità emotiva che rende credibili i personaggi e la materia narrata indipendentemente da chi la scrive. V'è uno stile, questo sì. Ma non ha a che fare con il sesso. Esiste l'aspetto deteriore... il genere che attinge alla digressione nevrotico maniaca. Ma è un'altra cosa.
Chiudiamo comunicando ai lettori di Cinquew.it i suoi progetti in corso, passati e futuri, se ce ne sono...
Mi disse trent'anni fa Mario Tobino: mai parlare dei libri che si stanno scrivendo perché poi li si abbondona incompiuti. In effetti è vero. Cade quella tensione creativa che comporta la necessità di giungere al traguardo. E' una vita tenace e fragile quella dei sogni. Basta un nonnulla a volte per interromperli. Per chi volesse sapere cosa ho scritto in passato basta fare una rapida ricerca in Rete, dove ormai si trova tutto e dove spesso anch'io mi volgo per verificare cosa ho dimenticato. La scrittura è un cantiere che, ahimé, abbandonando il teatro mortale, lasceremo comunque in disordine. Peccato.

di Giuseppe Rapuano
Data:  14/10/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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