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Pia Di Marco scrive La tela d'oro. E si intrattiene con Charles Darwin e Dio

pia di-marco-e-lut ROMA - "La tela d’oro e altre storie raccontate al piccolo Charles Darwin". È il titolo dell'ultimo libro scritto da Pia Di Marco. L'autrice romana presenta ai lettori un Darwin diverso, e, soprattutto, il valore inestimabile della conoscenza. L'attenzione profonda nell'apprendere e nell'osservazione fruttuosa di tutti gli esseri viventi. In questa intervista "elettronica", non mancherò di uscire dal libro per entrare, con la scrittrice, in altri mondi.
Dottoressa Di Marco, quando ha deciso di destinare quella copertina, quel disegno, al suo libro? È libertà o costrizione? Cosa ci ha visto?
E’ stata una decisione dell’editore, ha scelto quella tavola per accordarla al titolo La tela d’oro. Ho immaginato una tela che si allarga vaporosa da una sponda all’altra del Rio Negro – nientemeno –: è l’illustrazione un po’ fantasmagorica di un viaggio che Mirella Delfini aveva fatto da quelle parti in cerca di una Nefila, il ragno specializzato, appunto, in tele immense. Dopo aver ultimato la tavola mi sono resa conto che era venuta fuori tutta un’altra cosa, un orizzonte soffice, avvolgente, infinito, capace di attrarre come un buco nero: superato quel limite, il mondo delle cose definite, palpabili, non è - forse non è persino - il mondo, non so. Un disegno è come uno specchio: ci guardi dentro e vedi l’anima.
Bisogna avere delle inclinazioni particolari per scrivere libri che si pensa appetibili dai ragazzi?
Credo che sia molto importante scrivere senza una finalità, senza l’intenzione o il bisogno di convincere, di insegnare, di dimostrare qualcosa. I ragazzi sono spietati verso chi cerca di contrabbandare qualcosa ammantandolo di fantasia, non vogliono fare la parte di Polifemo accecato: sbadigliano e lasciano il libro.
Di Marco, per lei arriva prima la parola o l'immagine?
La parola. In principio è la parola. “La parola si fa carne”, immagine, sguardo, sorriso, mare e cielo e dimora fra noi. Nel passo giovanneo trovo l’umano oltre che il divino. Comunque, per mia natura, mi trovo sempre in opposizione a quello che sto facendo. Quando scrivo ho nostalgia del segno grafico, di pastelli e pennelli; quando me ne sto china sul tavolo a disegnare avverto, struggente, il desiderio di scrivere.
È una studiosa del Cinquecento, una cosa di quel passato che vorrebbe fare rivivere oggi e una cosa che vive ancora (se esiste) che vorrebbe sotterrare...
Farei rivivere la figura del committente - personaggio pubblico, istituzione, corporazione, persino l’agiato borghese in vena di autocelebrazione. E vorrei che fosse ancora salda la convinzione che dare lavoro a letterati e artisti sia un buon investimento. Perché sarà pur vero che eruditi, stampatori, pittori, scultori e architetti erano chiamati a magnificare il potere del sovrano temporale o ecclesiastico: di fatto, l’impegno e la qualità dei programmi erano tali che ancora oggi, ignorando le antiche ragioni di tanti capolavori, molti fanno la fila davanti a una chiesa o a un museo. Quel che vorrei sotterrare è il modo di svuotare le istituzioni attraverso il clientelismo: basta avere un amico o un debitore di favori al posto giusto e la fila non si fa, il concorso si vince, le regole si eludono. L’aveva capito Cosimo de’ Medici il Vecchio, in pieno Quattrocento. All’alba del Duemila Berlusconi è dello stesso parere, e molti altri con lui, al di là delle sigle e dei colori di partito. Anche il nepotismo dei papi, che non è da attribuire al solo Cinquecento, è vivo e prospera nello Stato italiano. Ma la cosa che vorrei davvero sotterrare è la convinzione, tipica italiana, che ciò che avviene nelle stanze del potere non ci riguarda. Ci rispecchiamo nelle micro realtà private: la famiglia, la squadra di calcetto. Nel nostro profondo Io, l’Italia è ancora un’espressione geografica, un capriccio di natura, un lembo di terra che svirgola su tre mari e non si stacca dall’Ue solo a causa delle Alpi. Ognuno pensa al proprio “particulare”, come diceva Guicciardini: inutile sperare come faceva Machiavelli, che “l’antico valore / nell’italici cor non è ancor morto”. Machiavelli era un grande sognatore e il suo Principe un uomo perbene, con un’etica più forte e più grande dell’etica comune. Una figura così non emerge facilmente qui da noi. Forse Churchill, nella seconda guerra mondiale…
Quando lei scrive, pensa a se stessa o a chi dovrà leggere le sue opere?
Mi lascio guidare dai miei personaggi, parlo con loro, li ascolto. Non so mai che cosa scriverò, ogni riga viene da lontano, da chissà dove. Non ci sono io, non c’è chi vorrà leggermi, non c’è neppure il progetto, il libro. E quando il libro finalmente c’è, per me è finito un mondo. Non lo abito più, ritorno nel mio quotidiano, ma niente è più come prima. L’esperienza di fine scrittura è l’esperienza della perdita, dell’abbandono.
Dottoressa, lei si ferma a discorrere con Darwin e Dio, per strada. Un complimento e un attestato di stima, per entrambi...
Mi fa venire in mente una frase che mia nonna mi ripeteva sempre: Aiutati che Dio t’aiuta. Le creature fanno del loro meglio per vivere, interagiscono con l’ambiente al punto da modificarsi e questo commovente, lento processo creativo dell’organismo che diventa topolino, balena, pinguino o colibrì è una proiezione della creatività divina. Credo proprio che Dio non abbia niente contro Darwin - e Darwin, secondo me, non aveva niente contro Dio.
Con i due, dove le piacerebbe fissare un nuovo appuntamento?
A bordo del Beagle, la nave della marina militare inglese con cui Darwin ha fatto il giro del mondo. Sono sicura che durante il viaggio Dio ne approfitterebbe per dimostrare che non ha lavorato una settimana e basta. Potrebbe essere una postilla al Libro della Genesi, che ne dice?
Quante pagine avrebbe voluto aggiungere e quante, eventualmente, togliere a "La tela d’oro e altre storie raccontate al piccolo Charles Darwin"?
Avrei voluto dare libero corso alla fantasia, inventare storie per ognuna delle tredici creature che Carlo Maria Legittimo e Piergiorgio Di Pompeo (di Aracnofilia, Centro Studi sugli Aracnidi) presentano nelle schede tecniche. Ragni capaci di camuffarsi in fiori per tendere agguati alle prede - e con quanta disinvoltura si colorano di lilla o di giallo! - ragni abili nell’incollare ben bene e impacchettare formiche vestendosi un po’ da formica anche loro; ragni capaci di andare in giro con un sigillo sull’addome che farebbe invidia all’imperatore della Cina: e solo per fare da tappabuchi, cioè per difendersi e impedire l'accesso alla tana a intrusi e predatori. Ne sarebbero venute fuori storie intriganti sull’imitazione, lo scambio d’identità, il vero e il falso Sé. Invece mi sono dovuta limitare a un solo caso, ma portentoso, di un ragno terreste che tuttavia rifugge dal proprio ambiente naturale, decide di vivere sott’acqua e si costruisce una campana d’aria intorno. Un’anima senza pace: m’ha fatto pensare all’irrimediabile tragico isolamento di Narciso, il fanciullo di cui ci narra Ovidio nelle Metamorfosi. Quante pagine avrei voluto togliere? Non saprei dire quante, certo quelle che contengono notizie di carattere tecnico. Riconosco, d’altra parte, che il rigore scientifico instillato da Mirella Delfini e dagli studiosi di Aracnofilia dà stabilità e credibilità alla fantasia.
Di solito, quante volte legge i suoi libri a pubblicazione avvenuta?
Non li leggo più. Perduto un mondo, cerco di ricrearmene un altro.
Chiudiamo comunicando ai lettori di Cinquew.it dove è possibile trovare questo suo ultimo lavoro, il nome dell'editore e il costo...
In tutte le librerie e sul sito di Aracne, al costo di 10 euro. In ogni caso, ecco due link utili, così come me li ha inviati l’editore:
aracne editrice
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di Giuseppe Rapuano

rapuano religioni
Data:  15/6/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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