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Miriam Ballerini parla con Cinquew.it del suo libro "L'ultimo petalo"

ballerini-miriam ROMA - "L'ultimo petalo" è il titolo del libro scritto da Miriam Ballerini. Una raccolta di racconti, con ognuno una poesia personale che esalta il senso del proprio contenuto. La scrittrice lombarda parla di ultimi, di angoli e io, incuriosito, non avendo letto ancora le sue parole, ho stabilito con lei un contatto "elettronico" per viaggiare insieme nel libro. Ma uscire anche dalle pagine del suo lavoro per indagare l'essere umano. Noi.
Ballerini, le tre parole che più le ritornano de "L'ultimo petalo"...
Margherita per il titolo. Perdono, questo sconosciuto. Uomini, intesi come umanità, perché da sempre scrivo di narrativa sociale, e delle crepe del nostro animo e del nostro vivere.
Una prostituta la colloca tra gli ultimi? Chi sono i “suoi” ultimi?
I miei ultimi sono le persone che la società emargina. Gli imperfetti, chi sbaglia, chi si sporca… gli ammalati, soprattutto chi ha problemi mentali. Tutti quelli che per un motivo o per un altro vengono considerati diversi.
E chi sono i primi?
In realtà, se fosse per me, questa distinzione non esisterebbe. Io vedo solo persone! Ma per la società i primi sono coloro che vivono seguendo regole e comportamenti stabiliti. Chi ha e si mostra sempre efficiente.
La follia degli esseri umani, i cosiddetti pazzi le ispirano prosa o poesia?
Per loro ho scritto un romanzo, “La casa degli specchi”, uscito nel 2004. In seguito ci sono stati racconti e poesie. Sono molto vicina a questo genere di tematiche. Io soffro di attacchi di panico, spesso ho tenuto congressi su questo tema, perché la gente ha paura di ciò che non comprende; o magari ne soffre e teme il giudizio. Mettersi in primo piano e dimostrare che si può convivere con la malattia e vincerla, offre un ampio respiro a chi non ha il coraggio di affrontare il problema. A tutt’oggi collaboro con vari centri che ospitano malati psichici, portando mostre fotografiche di mio marito Aldo Colnago, oppure in occasione di congressi dove si parla di scrittura come una sorta di terapia.
Quando lei scrive, pensa a se stessa o a chi dovrà leggere le sue opere?
A me come una sorta di terapia, un rifugio, ma anche un posto dove scaricare il troppo che vedo e che sento. La persona che dall’inizio ha seguito la mia carriera, la professoressa Maria Chiara Sibilia, mi ha sempre detto che io non mi interesso del lettore, ma che scrivo principalmente per dare voce a questi problemi, accidentalmente piaccio anche a chi mi legge!
Di cosa può caricare maggiormente le pagine di un libro la penna di una scrittrice rispetto alla penna di uno scrittore?
Non saprei, tutto dipende dalla persona. Non credo che tutte le donne siano più sensibili degli uomini…sono solo luoghi comuni. Forse gli scrittori sono più pratici, le donne badano più al lato sentimentale, ma è solo una fragile supposizione!
A cosa serve oggi un libro. Pare non si mangi...
I libri, in generale, sono cibo per l’anima. Insegnano, portano in altri mondi; ci sollevano distraendoci. Credo che non potrei mai rinunciare alla lettura, perché ogni giorno della mia vita possa ricevere un nuovo insegnamento, possa cogliere una frase preziosa, possa anche confrontarmi o scontrarmi con quanto scritto, per aiutarmi (cosa non facile in questo mondo di tv e inquadramenti vari), a continuare a ragionare con la mia testa.
Ballerini, lei al tavolo di un bar con quale autrice e quale autore passato? Un complimento, un attestato di stima che rivolgerebbe all'una e all'altro...
Mary Shelley, autrice di Frankenstein. Ammirazione per una donna del suo tempo che scriveva di horror. Io, stranamente, scrivo di narrativa sociale, ma sono appassionata di horror e thriller. Indubbiamente le invidio la capacità di spaventare e creare la suspence che io non ho!
Dostoevskij, che ho scoperto solo dopo che qualcuno mi disse che la mia scrittura glielo ricordava (sacrilegio!!); mi complimenterei con lui per la scelta dei temi, perché anche lui guardava negli angoli alla ricerca degli ultimi e, decisamente, al suo tempo e nel suo lato di mondo, dovette impiegare molto coraggio.
La felicità arriva o la si ricerca?
Arriva inaspettata. Non si può cercarla, secondo me, perché si rischierebbe di rimanere degli eterni infelici, illusi di trovare chissà quali grande cose. Invece la felicità sono piccoli gesti, accenni, sorrisi: il mio cane che è contento di vedermi, un bacio sulla fronte, un bambino che mi corre incontro… quanta semplice felicità!
Oggi, quante pagine vorrebbe aggiungere e quante, eventualmente, togliere a "L'ultimo petalo"?
Non per presunzione, perché non si è mai sicuri del proprio lavoro, ma lo lascerei così com’è… inutile sconvolgerlo, meglio dargli la possibilità di farsi amare o odiare per ciò che è.
Di solito, quante volte legge i suoi libri a pubblicazione avvenuta?
Nemmeno una! Tanto che spesso sono i lettori a ricordarmi i nomi e le scene! Io, finito il lavoro, già sto pensando ad altro!
Quando ha scritto il suo primo libro, il titolo, quanti anni aveva...
Il primissimo, ingenuissimo libro aveva come titolo “Gabbie”, parlava di carcere e avevo 14 anni! Il primo romanzo pubblicato, invece, nel 2002, all’età di 32 anni “Il giardino dei maggiolini”.
Chiudiamo comunicando ai lettori di Cinquew.it dove è possibile trovare questo suo ultimo lavoro, il nome dell'editore e quanto costa...
Il mio ultimo libro s’intitola “L’ultimo petalo”, Serel International, costa 15 euro e lo si può cercare nelle librerie, oppure sui cataloghi online quali ibs, libreria universitaria, bol. Chi lo volesse acquistare direttamente dalla casa editrice: info@serelinternational.com Per chi, invece, lo volesse autografato con dedica può richiederlo alla sottoscritta: miriamballerini@alice.it
La ringrazio direttore per la sua intervista e attenzione nei miei confronti e saluto tutti i suoi lettori.

di Giuseppe Rapuano

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Data:  8/5/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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