ROMA - Cinquew.it ha chiesto alle donne italiane un contributo scritto su una figura femminile apprezzata per le sue gesta, il suo coraggio, la sua cultura. Anche non più tra noi. Di seguito l'intervento di Antonella Magliozzi.
Omaggio a Peggy. Probabilmente i giorni nostri non sono più quelli dei grandi mecenati. Sarà perché, fisiologicamente (o patologicamente), ciò non è più possibile per diverse motivazioni; forse perché siamo troppo assuefatti a logiche contrarie a quel modus operandi et vivendi di epoche nostalgicamente passate; forse perché oggi si corre troppo, ci si affanna, non si osserva e non si ascolta; forse perché si è meno lungimiranti e sognatori; oppure, più semplicemente e banalmente, perchè oggi si pensa più a sé stessi.
L’individualismo dilagante, checché se ne dica, è un dato di fatto: sarà colpa delle ristrettezze economiche, o della globalizzazione. A proposito di questa’ultima, qualcuno si è spinto ad affermare che essa, più che unire, divide, nasconde.
Eppure, l’Uomo è essere sociale: vive in società. E, nell’ambito di questa, egli “fa Arte” e si dimostra Artista.
Ma lo è di per sé o solo se riconosciuto tale dai consociati? O, peggio, dal “Mercato”? Mi domando se è possibile, per dir così, asservire l’Arte a meccanismi che rimandano fatalmente a famigerate e ormai inflazionate parole (non-sense in campo artistico) come “Dow Jones”, “Nasdaq”, “Ftse Mib”, “Spread”, “BTP – BUND”, etc.
Dunque, chi sarebbero “gli Operatori di borsa”, i Consulenti, i Broker? Insomma, tutte le figure che orbitano attorno al Market dell’arte - non esistendo un Albo ufficiale, un Ordine o un codice deontologico - come verrebbero professionalmente selezionate e regolamentate?
Probabilmente tali soggetti, attualmente, trovano benissimo una loro collocazione all’interno del settore artistico, tutelando sia i diretti fruitori ma anche, e soprattutto, gli Artisti.
D’altronde, da sempre, un’opera d’arte è suscettibile di valutazione economica, e in questo, forse, trova fondamento la compatibilità dei concetti di Arte e Mercato.
Pur tuttavia, qualcuno potrebbe non accettare questa realtà dei fatti e, in primis, gli Artisti stessi, almeno fin tanto che non siano “riconosciuti” dal Mercato, entrando così a farne ufficialmente parte.
Forse in un altro mondo sarebbe stato impossibile stimare il valore economico di un opera d’arte, in quanto infungibile e inimitabile: ogni opera d’arte, infatti, è L’Opera d’Arte; è unica, irripetibile.
Risulta difficile scardinare questo meccanismo atavico e collaudato... sarà giusto così.
La pioniera Peggy, invece, quando s’innamorava di opere d’Arte create da esimi sconosciuti, certamente non pensava alle crude logiche di mercato.
Per lo meno, non lo faceva secondo gli odierni canoni, basati su edulcorate forme di promozione dell’Arte (a livello “industriale”) sicuramente lontane dal più vero mecenatismo, fondato sul puro sostegno di attività artistiche e culturali e, quindi, degli stessi Artisti protagonisti di tali attività.
Nella sua variopinta esistenza, ella pensava più al “gusto” e al “bene collettivo”.
Peggy lavorò inizialmente in una libreria di New York, frequentando diversi intellettuali incontrati nei circoli e salotti presenti. Nel ‘22 si sposò a Parigi con Laurence Vail e, dal loro amore, nacquero due figli, Sinbad e Peegen.
Grazie al marito artista, cominciò a frequentare i salotti bohemiens, stringendo amicizia con i primi artisti dell'avanguardia europea, molti dei quali emigrati statunitensi come Marcel Duchamp.
A seguito dello scioglimento del legame con il marito, Peggy iniziò a visitare in lungo e in largo l’Europa con i figli, soffermandosi, in particolare, a Londra e Parigi.
Nel ‘38, a Londra (assieme a Jean Cocteau) inaugurò la sua prima galleria: la Guggenheim Jeune.
Così, Peggy iniziò la sua attività di promozione e valorizzazione di Artisti ancora “sconosciuti” (poi “riconosciuti” dal mercato…) tra cui Vasilij Kandinskji, il padre dell’Astrattismo.
Samuel Beckett e Duchamp furono i fautori dell’opera di iniziazione di Peggy al mondo dell’arte contemporanea, in particolare, a quella astratta e surreale.
Il mecenatismo e collezionismo di Peggy era unico nel suo genere.
Ella “raccoglieva” Arte come nessun altro aveva fatto fino ad allora, perchè prediligeva opere che non si vendevano, opere per cui non c’era mercato.
Le acquistava soltanto perché l’attraevano: le amava “a prima vista”.
Comprava Arte, non solo come un investimento, ma perché aveva delle intuizioni. Era come se le opere la chiamassero, le sussurrassero… Ne scaturiva un feeling irresistibile e naturale a cui non poteva sottrarsi.
Così acquistò molte opere di artisti come Georges Braque, Salvador Dali, Piet Mondrian, e altri.
Tornata a New York, nel ’42 inaugurò la galleria Art of This Century.
Nell’ambito della sua attività pionieristica, scoprì Jackson Pollock quando era un umile falegname impiegato presso il museo Solomon Guggenheim, organizzandogli la sua prima mostra nel 1950 al Museo Correr di Venezia.
Con la fine del conflitto mondiale, Peggy decise di ritornare a Venezia, dove la sua collezione veniva esposta per la prima volta alla Biennale nel ‘48.
L'anno successivo Peggy acquistò Palazzo Venier dei Leoni, dove si trasferì definitivamente, portando con sé tutta la sua collezione.
Aperta al pubblico dal ’49, “La Collezione Peggy Guggenheim” è ancora oggi il museo più importante in Italia per l'arte europea e americana della prima metà del ventesimo secolo.
Mi sembra di ascoltarla, Peggy, mentre si scaglia contro l’odierno Sistema-Arte (di cui hanno parlato importanti personalità ed esperti del settore); contro quella nebulosa diretta da grossi gruppi finanziari che fanno il bello e il cattivo tempo a tutti i livelli, Arte inclusa.
E allora, Peggy si scaglierebbe di certo contro quelle holding che - votate fondamentalmente al “vil denaro” con contorni variegati - spesso dimenticano la vera essenza dell’Arte: mezzo straordinario di comunicazione, ancor di più del linguaggio verbale comune.
L’Arte scuote le Anime e da esse promana. E’ linguaggio universale, educativo, nobile e puro, anche quando di denuncia.
Peggy rammenterebbe a questi signori l’importante scopo delle loro attività che sono di interesse generale e pubblico: diffondere le espressioni artistiche più significative del nostro tempo.
I valori, i principi sottesi devono vincere ogni tentazione economica, perché il mero fine di lucro produce inevitabilmente effetti distorsivi e nefasti per tutti.
Con l’Arte scriviamo il nostro tempo. Ma la storia ci insegna che gli Artisti lo precorrono, con la loro umiltà, tenerezza, timidezza, incertezza, ma anche indomabile e travolgente energia. Con le loro creazioni, ci aiutano a capire il significato della vita, ci suggeriscono la strada da percorrere… Di questo Peggy era certa.
Quindi, credo sia d’accordo con me, quando dico che, a tutela degli Artisti, dei collezionisti, del pubblico e della storia che stiamo scrivendo tutti assieme, sarebbe sufficiente un ritorno ai valori morali più sentiti, avulsi da ogni preconcetta logica di profitto estranea all’essenza più intrinseca dell’Arte.
Gli Artisti hanno tanto da dire e devono farlo in piena libertà, senza distogliersi dai loro nobili intenti. Va da sé che la loro attività debba naturalmente essere remunerata per porli nelle condizioni di continuare a comunicare creando.
L’Arte è patrimonio dell’umanità, gli Artisti ne sono la parte più preziosa.
Arrivederci Peggy, Grazie.
…L’Arte e gli Artisti miglioreranno il mondo…(I Graffialisti).
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