ROMA - "Mangano era una persona che già in epoca ormai databile abbondantemente di due decenni almeno operava a Milano. Era inserita in qualche modo in un’attività commerciale – racconta in tribunale la "voce" di Borsellino -. Tutti quei mafiosi che in quegli anni, siamo probabilmente alla fine degli anni ’60 inizio degli anni ’70, che approdarono a Milano e fra questi non dimentichiamo che c’è pure Luciano Liggio, cercarono di procurarsi quei capitali che poi investirono nel traffico delle sostanze stupefacenti anche con i sequestri di persona. Lo stesso Luciano Liggio fu coinvolto in alcuni clamorosi processi che riguardavano sequestri di persona, ora non ricordo se si trattasse ad esempio di quello di Rossi di Montelera ma probabilmente fu proprio uno di questi, e diversi personaggi che ancora ritroviamo come protagonisti di vicende mafiose a Milano si dedicarono a questo tipo di attività che invece, salvo alcuni fatti clamorosi che costituiscono comunque l’eccezione, sequestri di persona che invece a un certo punto Cosa Nostra si diede come regola di non gestire mai in Sicilia”.
Anche questo disse Paolo Borsellino di Vittorio Mangano e della mafia a Milano prima che il giudice venisse ucciso da cosa nostra nel luglio del 1992.
Il ritratto sullo "stalliere" è fornito all’interno del processo al senatore Marcello Dell’Utri come testimonianza ricavata da una ultima intervista rilasciata da Borsellino prima della morte. Giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, nel dibattimento il pubblico ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale.
Borsellino fu ammazzato il 19 luglio 1992 insieme con i cinque uomini della sua scorta. In tribunale, la "voce" del giudice tratteggia la “personalità” e il ruolo di Mangano.
“Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta sia da Contorno come uomo d’onore appartenente a Cosa Nostra. Uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò – racconta il magistrato palermitano -, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia alla quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove, come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane. Mangano era uno di quei personaggi che, ecco, erano i ponti, le teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia. Ce n’erano parecchi”.
Borsellino: “Vittorio Mangano risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo nel corso della quale lui, conversando con altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane, preannuncia o tratta l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come magliette o cavalli. Mangano è stato poi sottoposto al processo dibattimentale ed è stato condannato proprio per questo traffico di droga, credo che non venne condannato per associazione mafiosa bensì per associazione semplice e riportò in primo grado una pena di tredici anni e quattro mesi di reclusione”.
Tante le storie che si narrano intorno alla figura dello "stalliere" e ai famosi cavalli. Borsellino ne dà la sua spiegazione: “Quando Mangano al telefono parlava di droga, diceva cavalli. Diceva cavalli e diceva magliette, talvolta. Sì, tra l’altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga è una tesi che fu asseverata nella nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta a dibattimento tant’è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxi processo per traffico di droga, fu condannato esattamente a tredici anni e quattro mesi di reclusione più settanta milioni di multa e la sentenza di Corte d’Appello confermò queste decisioni del primo grado sebbene, da quanto io rilevo dalle carte, vi sia stata una sensibile riduzione della pena”.
di Giuseppe Rapuano
|