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Trattativa tra Stato e mafia nelle lettere tra Dalla Chiesa e Spadolini

generale-alb-dalla-chiesa ROMA - In questo periodo, all'ordine del giorno della vita italiana ci sono anche le indagini e le rivelazioni giornalistiche che cercano di fare luce sui rapporti tra la mafia e lo Stato (Presunti?). Inchieste, lettere e corrispondenze varie per cercare di conoscere i meccanismi che (forse) legavano e (forse) legano la grande criminalità organizzata ai politici del passato e del presente.
Leggendo e soffermandosi per qualche secondo su alcuni passaggi che seguono, riguardanti i rapporti tra il
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il presidente del Consiglio dei ministri Giovanni Spadolini, si capterebbero l'incrociarsi di attività e di conoscenze dirette tra mafia e apparati dello Stato e dei Governi italiani. Può darsi pure, però, che non sia così.
Il generale Dalla Chiesa all’atto della sua investitura a prefetto di Palermo, negli anni Ottanta, ebbe colloqui e corrispondenze con il presidente del Consiglio dei ministri Spadolini.
Come emerge dalle trascrizioni degli atti che riguardano il processo contro il senatore Giulio Andreotti, il generale fece riferimento al tema delle complicità con la mafia, espresse la sua preoccupazione per le infiltrazioni di ordine politico, e ricevette dal suo interlocutore (Spadolini) la più ampia assicurazione che le “famiglie legate alla mafia nel mondo politico” sarebbero state sconfessate dal Governo e non gli avrebbero potuto creare difficoltà.

Cosa significa sconfessate dal Governo e che non gli avrebbero potuto creare difficoltà, ci chiediamo? Il Governo e lo Stato sanno sempre come muoversi, da chi andare e quando è il momento di stabilire dei contatti?

In data 2 aprile 1982 Dalla Chiesa scrisse a Spadolini la seguente lettera (acquisita al fascicolo per il dibattimento in data 20 ottobre 1998).
«Roma 2/4/1982 Gentilissimo professore, faccio seguito ad un nostro recente colloquio e se pur mi spiaccia sottrarLe tempo, mi corre l'obbligo - a titolo di collaborazione e prima che il tutto venga travolto dai fatti - di sottolineare alla Sua cortese attenzione che:
- la eventuale nomina a Prefetto, benché la designazione non possa che onorare, non potrebbe restare da sola a convincermi di lasciare l'attuale carica;
- la eventuale nomina a Prefetto di Palermo, non può e non deve avere come "implicita" la lotta alla mafia, giacché:
• si darebbe la sensazione di non sapere che cosa sia (e cosa si intenda) l'espressione "mafia";
• si darebbe la certezza che non è nelle più serie intenzioni la dichiarata volontà di contenere e combattere il fenomeno in tutte le sue molteplici
manifestazioni ("delinquenza organizzata" è troppo poco!);
• si dimostrerebbe che i "messaggi" già fatti pervenire a qualche organo di stampa da parte della "famiglia politica" più inquinata del luogo hanno fatto presa là dove si voleva.
Lungi dal voler stimolare leggi o poteri "eccezionali", è necessario ed onesto che chi si è dedicato alla lotta di un "fenomeno" di tali dimensioni, non solo abbia il conforto di una stampa non sempre autorizzata o credibile e talvolta estremamente sensibile a mutamenti di rotta, ma goda di un appoggio e di un ossigeno "dichiarato" e "codificato":
• "dichiarato" perché la sua immagine in terra di "prestigio" si presenti con uno "smalto" idoneo a competere con detto “prestigio”;
• "codificato" giacché, nel tempo, l'esperienza (una macerata esperienza) vuole che ogni promessa si dimentichi, che ogni garanzia ("si farà", "si provvederà", ecc.) si logori e tutto venga soffocato e compresso non appena si andranno a toccare determinati interessi.
Poiché è certo che la volontà dell'on. Presidente non è condizionata da valutazioni men che trasparenti, ma è altrettanto certo che personalmente sono destinato a subire operazioni di sottile o brutale resistenza locale quando non di rigetto da parte dei famosi "palazzi" e poichè, da persona responsabile, non intendo in alcun modo deludere le aspettative del Sig. Ministro dell'Interno e dello stesso Governo presieduto da un esponente che ammiro e che voglio servire fino in fondo, vorrei pregarLa di spendere - in questa importantissima fase non solo della mia vita di "fedele allo Stato" - il contributo più qualificato e convinto, perché l'iniziativa non abbia a togliere a questa nuova prestazione né la componente di un'adesione serena, né il crisma del sano entusiasmo di sempre: quello più responsabile.
Con ogni e più viva considerazione.
Suo Gen. Dalla Chiesa».

Spadolini, escusso quale teste nel processo rese le seguenti dichiarazioni. Eccone una parte.
«Rispondo subito che l'argomento delle corresponsabilità o complicità con la mafia fu toccato esplicitamente dal Generale Dalla Chiesa nel colloquio con me a Palazzo Chigi nel momento dell'investitura, ed io dissi al Generale Dalla Chiesa che egli operasse in tutte le direzioni senza nessun riguardo presso nessuno».

Cosa significa senza nessun riguardo presso nessuno? Si potevano avere riguardi per alcuni?

Continua Spadolini: «Quindi le disposizioni che il Presidente del Consiglio dette furono di assoluta fermezza in qualunque direzione senza eccezioni. I sospetti che Dalla Chiesa aveva in materia di famiglie politiche erano diversi complessi come tali lui li formulò. E io ho detto in libertà assoluta di colpire in tutte le direzioni. Dalla Chiesa conosceva la mafia, c'era già stato, sapeva tutte le difficoltà tra lotta in loco e voleva una garanzia politica rispetto agli altri palazzi ed è chiaro che se la chiedeva a Palazzo Chigi, sapeva bene che a Palazzo Chigi poteva chiederla e che si trattava di altri Palazzi».

Cosa significa colpire in tutte le direzioni? Cosa significa voleva una garanzia politica rispetto agli altri Palazzi? Quali erano gli altri Palazzi?

Certamente, ne siamo convinti, la magistratura sta lavorando, anche, per rispondere ad alcuni di questi nostri interrogativi.

di Giuseppe Rapuano
Data:  27/6/2012   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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