Un giorno tutto questo sarà tuo, capolavoro drammaturgico e registico di Iodice |
NAPOLI - Davide Iodice poeta della verità. Intenso. Poetico. Autentico. «Un giorno tutto questo sarà tuo» è il nuovo capolavoro drammaturgico e registico di Davide Iodice. “Quando non riesco più a ricordare il sorriso di mio padre, infilo la mano nel sacco e ricordo”. Ipnotizzati dalle luci di Angelo Grieco, la curiosità dello spettatore di fronte alla scenografia di Tiziano Fario, è decisamente palpabile. Una maschera neutra, una vecchia cucitrice, una fila di abat-jour pronti ad accendere la scintilla della vita e una macchina da scrivere intenta ad appuntare la drammaturgia dei vissuti messa al mondo nei costumi di Enzo Pirozzi.
Generosi e veri artisti Ilenya Caleo e suo padre Paolo, Davide Compagnone e sua madre Anna, Alessandra Fabbri e suo padre Alessandro, Tania Garribba e sua madre Luisa, Stefano Miglio e suo padre Giuseppe, Mattia Castelli, e Giuseppe Scognamiglio che per problemi di salute non era presente al debutto dell’8 giugno 2012, quando Il teatro San Ferdinando, in occasione del Napoli Teatro Festival, ha accolto un lavoro frutto del laboratorio “Figli”, condotto da ottobre 2011 a marzo 2012.
Lo spettacolo è andato ben oltre l’attesa diatriba genitori figli con la loro dialettica di interdipendenza, ma ha prodotto l’autentico respiro della memoria storica. Una scatola cinese dei ricordi, dell’eterno ritorno dell’uguale nella danza della vita.
“Potevo nascere visone e diventare la tua pelliccia, e se fossi stata ermafrodita mi avresti fatto giocare nella squadra femminile o maschile?”.
La ribellione dell’essere che è simbolicamente messa in scena nel conflitto parentale diventa una riflessione sulla crisi italiana. La bandiera della patria, cucita con le mani di chi ha vissuto gli orrori della guerra, resta sempre incompleta, pesante e “storta”. Perché il sottotesto è che l’italia non è “in crisi” da oggi. Anni '40, '50, '60, '70 raccontati nella gelatina dolorosa di chi è salito sul palco per sussurrare la verità. E dopo il richiamo alla strage di Piazza Fontana la scena esplode con un ritorno a Zabriskie Point di Antonioni. Il continuo rimando del finale è un crescendo di emozioni stese sui sensi dello spettatore. Si riesce a sentire l’odore di ogni storia accanto a sé.
Completamente spezzato il confine tra persona e personaggio, platea e palco. È la rinascita della tragedia nietzschana di cui, forse, abbiamo bisogno per ricucire i fili della storia insieme alle tre vecchie Moire che, con i loro gesti puntuali e silenziosi hanno ridato sollievo al pubblico costretto a ripensare il presente. In scena fino al 10 giugno, il lavoro prodotto da Fondazione Campania dei Festival-Napoli, Teatro Festival Italia/Teatro Stabile Napoli, sarà atteso e ripreso nella prossima stagione teatrale.
di Anita Laudando
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