CASERTA - Una serata così Caserta la meritava e, soprattutto, la meritavano le protagoniste della conferenza tenuta da Nadia Verdile, insegnante e storica casertana, nella splendida cornice della Sala Vanvitelli del Jolly Hotel di Caserta. L’iniziativa è partita dall’Ande,l’Associazione nazionale donne elettrici, sezione di Caserta, la cui presidente Tilde Fusco ha voluto offrire “la possibilità di conoscere una parte di storia tenuta fuori dai circuiti mediatici”.
E così l’organizzazione politica apartitica fondata nel 1946 da Carla Orlando Garabelli ha chiesto alla professoressa Verdile di raccontare agli ospiti e ai curiosi uno straccio di storia poco nota se non dimenticata. Quella delle donne che hanno contribuito a fare il Risorgimento, a fare la storia la storia che ci ha portati fino a qui.
Il Risorgimento delle donne alle donne, quindi, visto su due versanti ostinati e contrari: quello delle patriote, le aristocratiche colte “figlie e sorelle di”, e quello delle brigantesse, le contadine che imbracciavano i fucili sulle montagne del sud.
Un capitolo di storia osservato da due prospettive diverse, entrambe degne: da vincitrici e da sconfitte doppiamente, come ha ricordato Nadia Verdile, e come donne e come combattenti.
La conferenza “Risorgimento velato. Donne sulle barricate” ha dimostrato che si può parlare di storia anche al di fuori delle mura scolastiche, non solo ai giovani ma anche ai meno giovani, attraverso fotografie, documenti d’archivio e documenti letterari, complice la curiosità e la passione.
Tanto più che “di storia capisce chi di letteratura carpisce”.
Numerose le persone che sono intervenute come ospiti, tra cui i giovani alunni all’Isa San Leucio della professoressa Verdile, rappresentanti della gioventù casertana.
La relatrice ha aperto il dibattito dicendo: “Oggi considereremo queste donne come protagoniste e non come gregarie di un’azione”, risposta alla diffusa abitudine di presentare figure femminili storiche, pure di un certo rilievo, come madri e mogli, infermiere e rammendatrici; come seguaci di un’azione promossa dai loro maschi e non come responsabili di un loro pensiero.
Antonietta De Pace è un esempio vivo di protagonista storica: rivoluzionaria gallipolina, nasce nel 1818 da una famiglia nobile erede della tradizione illuminista napoletana e attiva nella sfortunata Rivoluzione partenopea del 1799; entra in contatto con i carbonari e fonda nella sua città un giardino, luogo di associazione segreta femminile legato alla Giovine Italia.
Il dibattito ha affrontato come prima tappa la appassionata vitalità di Antonietta, una sorta di Lady Oscar italiana per il suo rapporto col padre: si racconta che suo padre, un banchiere di origine napoletana, si aspettasse la tanto desiderata nascita di un figlio maschio dopo tre femmine, venendo però deluso dalla venuta di una quarta femmina, Antonietta appunto, da lui chiamata fino alla morte “Niccardo”, come se fosse stata un uomo.
La storia di Antonietta De Pace rappresenta il romantico impegno politico senza il quale sarebbe stato difficile informare l’esule Giuseppe Mazzini in Londra; la rivoluzionaria gallipolina, infatti, pizzino dopo pizzino spesso buttati giù in gola per nascondere le tracce trasmetteva informazioni preziose al fondatore della Giovine Italia. Molte volte arrestata e condannata, Antonietta De Pace vive la fine dei suoi giorni, avvenuta nel 1894, a Napoli, all’età di settantaquattro anni.
Come Antonietta anche Adelaide Bono, la notissima Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Anna Grassetti, Enrichetta Caracciolo e Clara Maffei, tanto per citarne qualcuna.
L’altra figura su cui si è soffermata la conferenza è stata quella di Jessie White, meglio conosciuta come Jessie Mario, inglese moglie dell’italiano Alberto Mario, amico di Giuseppe Mazzini. Col cognome del marito Jessie White firma la sua biografia sull’eroe dei due mondi: “Garibaldi e i suoi tempi”, edito da Treves nello stesso giorno in cui l’eroe genovese muore. Il libro diventa ben presto un bestseller, essendo il primo scritto sulla vita del personaggio più carismatico del Risorgimento.
Ma Jessie White non è solo questo: appassionata di medicina, viene respinta più volte da un corso di studi riservato agli uomini, studia da autodidatta e diventa medico ufficiale dei garibaldini; come cronista del Daily News si improvvisa inviata di guerra,quello che - come ricorda Nadia Verdile – farà un secolo più tardi Oriana Fallaci.
L’ultima figura che chiude il trittico delle donne colte del Risorgimento è Maria Sofia di Baviera, un personaggio che questo periodo, però, l’ha vissuto da “nemica” dei moti rivoluzionari.
Sorella della più popolare Sissi, Maria Sofia di Baviera arriva a Napoli come sposa di Francesco II di Borbone detto Franceschiello e si scontra con una corte arretrata e conservatrice, cozzando contro l’invidia della suocera Maria Teresa d’Asburgo, matrigna del marito.
Maria Sofia è dotata di cultura, bellezza e spregiudicatezza: fuma il sigaro, scioglie i capelli e nuota in mare nuda, in un regno in cui niente di tutto ciò è concesso alle donne. Il suo fascino spaventa, la sua libertà infastidisce e la suocera non gradisce: mette in giro cattive voci sulla moglie di quel figliastro che vorrebbe morto e la splendida bavarese diventa in men che non si dica la prostituta di corte.
Poca roba, se avesse avuto il tempo di calunniarla dopo averla vista muoversi al fianco dell’esercito borbonico, come un uomo qualsiasi.
Non solo, dopo la presa di Gaeta, Maria Sofia e Franceschiello sono ospiti del Vaticano, dove l’ormai ex sovrana borbonica, rea di anticonformismo, viene attaccata da agenti liberali filo-piemontesi che distribuiscono copie di una foto della regina ritratta nuda come una comune cortigiana.
La questione, come si scoprirà solo più tardi, è frutto di un’opera di calunnia da parte di sostenitori dei Savoia nei confronti della dinastia borbonica; si trattava di un fotomontaggio: la modella era la moglie di un fotografo pagato dai piemontesi, Costanza Vaccari Diotallevi. Una vicenda che dimostra l’uso strumentale della donna in fatti di natura politica.
Da Maria Sofia la conferenza di Nadia Verdile è passata a raccontare le storie delle brigantesse e non semplicemente delle donne del brigante.
Maria Lucinella, Filomena Pennacchio, Filomena Cinciarullo e Michelina di Cesare, l’ultima dei briganti.
Quella del brigantaggio è una storia forte, di sangue, di rabbia, di povertà. Una storia di delusione quella di chi non si vede realizzare la riforma agraria tanto promessa dai garibaldini.
Gli stessi che avevano favorito la venuta di Garibaldi nel Mezzogiorno sono pronti a combattere contro quell’Italia appena unificata, a colpi di fucile, sulle montagne, insieme alle donne. Per il pane, e le terre.
Michelina Di Cesare è la figura che conclude la storia del brigantaggio e, ironia della sorte, è una donna.
Di Mignano Montelungo, in provincia di Caserta, Michelina non ha niente in meno rispetto al brigante lucano Carmine Crocco: con lui condivide lo stesso malcontento. E’ lei la giovane donna dalla fronte corrugata che tutti i libri di storia portano, spesso non spiegando nulla: ebbene, Michelina è considerata l’ultima brigantessa, in quanto ultima a resistere alla furia dell’esercito piemontese.
Arrestata, picchiata, violentata e infine uccisa, Michelina viene spogliata e il suo cadavere esposto in piazza; dell’agghiacciante spettacolo esistono foto scattate all’epoca come documento.
La triste storia della fine violenta di una brigantessa-capo pone fine alla discussione di Nadia Verdile, che conclude con una slide-simbolo di una frase di Arthur Schopenhauer: “Tutte le verità passano per tre stadi. Primo: vengono ridicolizzate; secondo: vengono violentemente contestate; terzo: vengono accettate dandole come evidenti.”
La scelta della professoressa Verdile non è casuale: le parole del filosofo sembrano riassumere la storia dei progressi, tappa per tappa, raggiunti dalle donne nel mondo; ci auguriamo di aver raggiunto il terzo stadio, ma come persone che non si accontentano, vogliamo andare oltre. Come persone civili, ci rendiamo conto che non basta, perché ne abbiamo bisogno. Di un’altra Michelina, Maria Sofia, Jessie, Antonietta. Come? Iniziandone a raccontare le storie nelle scuole, ai ragazzi.
Stefania Mastroianni
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