La vergogna e l’orgoglio, è l'ora che il popolo gridi ancora più forte |
ROMA - Credo che in Italia si perpetri un duplice, definitivo volto che riassuma in sé la sua complessiva fisionomia storica, civile, politica: la vergogna e l’orgoglio. Quest’asimmetria non sfocia dall’ovvietà che vede convergere la realtà indicata in ogni Paese, ma da un così serrato susseguirsi di episodi dai risvolti adiacenti fra loro, se non identici, da giungere alla medesima morale della novella. Già, la morale. Termine che si fa audace nella trama di potere messa in atto dai protagonisti che maneggiano lo scettro del Governo e lo stesso fanno coloro che vengono definiti i loro presunti antagonisti: perché, in verità, la novella non presenta uno sviluppo che scandisca, definisca il ritmo delle vicende col dovuto contrasto, stavolta. L’antagonismo vero e proprio non c’è. Piuttosto troneggia sempre il farinaceo, celebre simbolo dell’unico pane da aggiudicarsi, da poter spartire tra i frementi affiliati solo dietro le quinte: gli affiliati per eccellenza e quelli da puro servilismo. A far da pittoresco e sdrammatizzante intermezzo nella morbosa veglia a coorte, c’è il fanciullesco giullare dell’immancabile satira che per taluni frangenti riesce a strappare un sorriso amaro al popolo, lo stesso popolo, che nel generico contesto, di clamorose buffonate ne ha contemplate a bizzeffe. Per non parlare del fatto che ormai esso conosca a menadito l’andamento più che prevedibile di questo connubio di vergogna e orgoglio, di turpe malcelato e artefatto senso di vanagloria, dove l’uno va essenzialmente a coprire e a giustificare l’altro oppure a mostrare sfacciatamente il tutto alla luce del sole… e le conseguenze quali sono? Niente. Anche in tal caso, se non soprattutto, l’assenza, l’inesistenza d’un minimo, rassicura con la sua staticità, con la sua banalità, garantendo quantomeno lo stranoto e ciclico controllo della situazione, priva d’una necessaria, repentina svolta che la muti da capo a piedi, ribaltando nettamente quelle perenni sorti sociali che privilegiano brutalmente i governanti alla gente comune…. ma in tempi recenti il complessivo e spregiudicato abuso di potere ha notato e avvertito (sottolineando quest’ultimo dato di fatto) delle preoccupanti crepe insinuarsi fra le sue mura, apparentemente inespugnabili: gli inconfondibili tratti d’una crisi incombente. E come accade di consueto dinnanzi all’evidenza, Governo e politicanti alzano le mani, replicando con fare pratico basato su una semplice, spontanea logica, di cui se ne è fatto così facile e pronto uso, da divenire irritante: la disoccupazione raggiunge livelli vertiginosi? Creiamo nuovi posti di lavoro. Il Paese va a rotoli? Discutiamone ancora. Maestà, il popolo sta morendo di fame? Lanciamogli delle brioches. E il popolo cosa ne pensa? Come si comporta? Si è sempre attenuto (costruttivamente) al ruolo a sé stante dello spettatore, che commenta, ride, piange, assorbe stoicamente la nuova dose di blateranti illusioni e legittimamente protesta. I loro anonimi posti in poltrona vacillano per la mancanza di lavoro che va ad inglobarsi all’allarmante, vasta questione del trovare un permanente equilibrio sociale… ed innanzitutto, del trovare finalmente ottenuta valenza dei propri diritti, nonché della propria dignità, oppressa dal peso dello sfruttamento. Nell’atto finale dello spettacolo politicante a cui assistono, restano, secondo il compiaciuto ed impassibile giganteggiare dei protagonisti, il prevedibile capro espiatorio, la facile, debole preda specie se concernente le classi più umili, destinata a soccombere, mentre le loro, di poltrone, scricchiolano sotto il peso d’un ventre troppo pieno, saturo di prestigiosa ingordigia e delle popolari forze vitali, strappate ed ancora una volta calpestate con schietta insofferenza. Perché subentra un’altra delle loro convinzioni auto rassicuranti e fatalmente erronee: dopotutto, l’unico potere che possiede il popolo, è solo quello della lagnosa protesta. Trascurando, di rimando, un ulteriore, importante dato di fatto: in realtà, è proprio il popolo, la gente comune a possedere le redini del controllo. Ed una grave crisi resta la prova schiacciante che conferma le sue innumerevoli, sacrosante ragioni, l’innegabile status che pone, al contempo, lo stesso Governo di fronte al capolinea e alla folta, imponente schiera di mancanze pronte a servire il resoconto. In definitiva, è proprio il resoconto totale a vedere il chiaro, manifesto ritorno della prepotente unione di vergognosi atti e dirompente orgoglio, due facce e due terre di confine affiancati l’uno all’altro, da un senso comune: l’indifferenza. E’ questo il male peggiore oggigiorno. L’atteggiamento passivo dinnanzi agli eventi, sia esso mostrato e dimostrato sfacciatamente dall’arroganza governativa, sia come rassegnata stasi da parte del popolo, che pur contemplando e subendo sulla propria pelle queste evidenti verità, resta ancora muto. Ma è anche il popolo che con la sua energia, con la sua nuova forza a maggior ragione perché scaturita da viscerale sdegno, può e deve recuperare la sua orgogliosa identità a testa alta, ora che è il momento di gridare ancor più forte, può e deve avvalersi del diritto di farsi impetuosamente sentire nella lotta di giusta rivalsa e riscatto per i suoi diritti che nessuna entità o situazione può permettersi di sfiorare. E per farlo, per quanto possa sembrare duro o vano, bisogna avere il coraggio, la caparbietà di raggiungere la prima, significativa meta: crederci. Intensamente, fermamente credere.
di Angela Cicinelli
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