ROMA - Ineccepibile Sergio Marchionne, ‘imprenditore illuminato’ fino a tre anni fa per una certa sinistra radicale che oggi lo vede come un pericolo per la democrazia, quando dice: “abbiamo il dovere di stare al passo con i tempi e di valorizzare tutte le nostre attività. […] Se al referendum vincono i no, non faremo alcun investimento. A Mirafiori, Fiat non ha lasciato fuori nessuno se qualcuno ha deciso di non firmare, non significa che io abbia lasciato fuori qualcuno: abbiamo bisogno di libertà gestionale".
Marchionne che fa il suo mestiere: ‘produttivita’ uber alles’ perche’ lo chiede la ‘globalizzazione’, l’evento moderno. Che tanto moderno non e’: si pensi alle compagnie del ‘600 le quali si raggrupparono nel cartiglio ‘Compagnie delle Indie’ per organizzare i
traffici commerciali in giro per il mondo. Oppure i finanziatori delle Crociate.
E la via della seta battuta da Marco Polo? Non si usa il termine "capitalismo" ma..."la dura legge del mercato globale". Di fronte al ‘sistema Marchionne’ va in soffitta l'art. 3 della nostra Costituzione che parla di "….pieno sviluppo della persona umana". Non si riconoscono i lavoratori e le lavoratrici come
‘esseri umani’, al piu’ come ‘esseri giuridici’ e numeri. Negli stabilimenti Fiat si lavorera’ di piu’, piu’ intensamente, con pause ridotte al minimo ma con
l’assicurazione del posto e qualche centinaia di euro in piu’ in busta paga.
Niente di nuovo sotto il sole: ieri dominava ‘la forza produttiva del lavoro’ oggi ‘la produttivita’’, per cui, con tanti saluti all’alienazione del lavoro, in un certo lasso tempo bisogna produrre un certo numero di auto. Nessuna novita’, dunque, da parte dell’imprenditoria refrattaria a qualsiasi idea di
programmazione e di pianificazione, ferma alle sole ferree regole della produttivita’ ‘uber alles’, dello scambio tra piu’ lavoro, meno pause, meno tutele sul lavoro, meno diritti e posto certo con qualche centinaia di euro in piu’. Nessuna novita’ neanche da parte dei sindacati: sia di coloro che in nome di un pragmatismo becero accettano lo scambio posto certo e qualche centinaia di euro in piu’ ma meno diritti e tutele, sia della supposta ‘avanguardia’, la Fiom, le cui proposte hanno ben poco di ‘riformismo rivoluzionario’ e molto di
‘conservazione’, di rigida difesa delle ‘posizioni di rendita’ o altrimenti di ‘pronto uso’ all’occorrenza per distinguo politici e di componente, magari per sparare pallettoni contro il Pd di Pier Luigi Bersani. Costituire associazioni vicine alla Fiom di Maurizio Landini e Giorgio Cremaschi, irriducibili ‘sandinisti’, che dice uno dietro l’altro ‘No’ al confronto sul piano Machionne, ‘No’ alla ‘firma tecnica’ proposta dalla ‘riformatrice’ Susanna Camusso per tenere in gioco la Fiom, ‘No’ all’esito del Referendum da parte dei 5500 lavoratori Fiat aventi diritto, che altro e’ se non visti i partecipanti, ex-sindacalisti Cgil, Sergio Cofferati e Fausto Bertinotti, passati in politica, dove non hanno brillato per risultati e consensi, qualche intellettuale d’antan, Mario Tronti e Aldo Tortorella, rispettabile ma ormai d’epoca rimettere in scena per l’ennesima volta la commedia dei ‘duri e puri’ che ha
prodotto piu’ disastri e macerie che non cambiamenti reali nel modo di lavorare, nella distribuzione delle ricchezza, nella crescita della qualita’ della vita,
lasciando cosi’ che vada avanti l’idea che gli esseri umani sono solo esseri giuridici e numeri? Quale sbocco puo’ avere il prossimo fronte comune tra Landini e ‘l’eroe di Tangentopoli’ Antonio Di Pietro e il ‘poeta’ di Terlizzi, Nichi Vendola, se non quello di impedire qualsiasi ‘ricerca’ di soluzione che tenga in campo la Fiom? A leggerla tutta e in profondita’ questa mossa potrebbe essere non ‘la mossa del cavallo’ per tentare una ricucitura in extremis ma la mossa diabolica per tentare di affondare la ‘riformatrice’ Camusso e con essa il leader del Pd, Bersani. Il modello ascrivibile a Marchionne poi lo si ritrova in altre grandi aziende, come l’Eni, il cui azionista di maggioranza e’ il Ministero del Tesoro: a differenza della Fiat l’Eni gode del silenzio assoluto: i suoi programmi dispendiosissimi li attua senza la luce dei riflettori e l’amplificazione dei media.
Il risultato di abbandonare il confronto (alla Fiat) o di non iniziarlo e chiederlo neanche (all’Eni), lascia spazio alla logica del "più forte".
Messe cosi’ le cose, nessuna ‘via d’uscita’ allora? No, una ‘via d’uscita’ c’e’ come accaduto in passato. Solo che passa per il cimento e l’adesione ad un metodo, ad un modello che rifiuta ‘il massimalismo’ ed approda al ‘riformismo rivoluzionario’ per cui la ‘riformare’ e in profondita’ e’ ‘il capitalismo’, da eliminare solo ‘le rendite parassitarie’ e i ‘monopoli’, assumendo l’occupazione e il lavoro come ‘assi centrali’ dello sviluppo, della crescita non solo quantitativa ma qualitativa del sistema: non e’ detto che “star meglio” equivale “ad aver di piu’”, che il benessere sia “consumare di piu’” quanto invece “consumare diversamente”.
E non e’ affatto detto che in un sistema capitalitastico non ci sia spazio e possibilita’ per “lavorare meno ma lavorare tutti”, per lavorare, insomma, otto ore al giorno per tre-quattro giorni la settimana ed aver il resto del tempo a disposizione per se stessi, per studiare, per accrescere il proprio bagaglio di sapere e di conoscenza.
Che altro significato hanno avuto, a suo tempo, le 150 ore di formazione continua introdotte nel primo contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccln) dei
metalmeccanici nel 1969, per merito di un incallito ‘riformatore’ come Bruno Trentin, se non ridurre l’alienazione del lavoro e permettere alle persone di accrescere il proprio patrimonio culturale? Che altro significato aveva sempre negli anni ’60 assumere la flessibilita’ come tema del sindacato se non appunto togliersi dall’idea assurda che la persona debba fare per sempre un lavoro e non aspirare ad altro, ad una nuova posizione di lavoro?
Ed ancora, si vuole far tesoro o no della drammatica sconfitta alla Fiat del 1980, quando si penso’ di passare con i picchetti ai cancelli di Mirafiori, forma di lotta criticata e aspramente contestata da Trentin che fino all’ultimo cerco’ di tessere le fila di accordo possibile con Corso Marconi reso impossibile dal ‘sandinista’ Claudio Sabattini spalleggiato da Fausto Bertinotti? A chi pensa ancora al socialismo come ‘progetto possibile dell’uomo’ e tiene a mente l’Utopia di Riccardo Lombardi di “una società diversamente ricca" da costruirsi perche’ si arrivi ad
una "società che riesca a dare a ciascun individuo la massima possibilità di decidere la propria esistenza e di costruire la propria vita", non sfugge che, per dare il giusto nome alle cose, è il "capitalismo" il sistema da riformare dalle radici, introducendo, per un verso, elementi di "democrazia industriale" (vedi lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, la legge 300/70) e per l’altro la programmazione e la pianificazione (vedi il piano Giolitti 1965) come strumenti di gestione delle risorse. “La cosa che piu’ mi ha colpito e’ che Lombardi in questo discorso (primo maggio 1967 al Salone Matteotti di Torino) non parla soltanto di programmazione socialista, di programmazione dell’economia da parte di forze socialiste o che hanno adottato i principi che esse proponevano. Parla anche dell’importanza della programmazione, della pianificazione capitalistica.
Badate che non possiamo ragionare piu’ sul capitalismo, dice Lombardi, come se fosse il capitalismo di trenta o quarant’anni fa, perche’ oggi anche il capitalismo ha bisogno di pianificazione e di programmazione giacche’ deve prevedere con anticipo di parecchi anni cosa succedera’ sul mercato”, sostenne il sociologico Luciano Gallino in un convegno del 2004 a vent’anni dalla morte
di Lombardi. “E’ avvenuto che anche il capitalismo non abbia dato retta a Lombardi. Non abbia cioe’ proseguito su quella linea che Lombardi vedeva in corso di sviluppo, una linea fitta di implicazioni da diversi punti di vista. In primo luogo perche’ essa esprimeva un capitalismo che almeno per un periodo abbastanza lungo non avrebbe avuto bisogno di comprimere i salari, avrebbe avuto necessita’ di espandere i mercati, ma non avrebbe avuto bisogno di tagliare il costo del lavoro”, aggiungeva Gallino. La stessa idea di programmazione e
pianificazione delle risorse Lombardi la pretendeva dallo Stato: le cose sono andate in maniera opposta. “Si pensi alla crisi Fiat che maturava con tutta evidenza da alcuni anni, mentre Governo e Confindustria hanno perso un anno e mezzo per vedere come si poteva sopprimere l’art.18 (Legge 300) o comprimere di qualche altro punto il costo del lavoro o dei contributi previdenziali. Dinanzi alla situazione attuale, possiamo constatare quanto sia costata questa doppia mancanza di programmazione.[…] Lombardi lo diceva molto lucidamente.. […] La programmazione da parte delle forze politiche, dello Stato, del Governo presuppone un avversario, un interlocutore che sia a sua volta capace di programmare, che ragioni di orizzonti ampi, che eviti la logica del giorno per giorno”. Una via d’uscita, dunque, c’e’: basta mettersi alle spalle quanto e’
fallito e riprendere con coraggio e generosita’ quanto attende ancora di essere sviluppato, realizzato, attuato e certamente migliorato sulla imprescindibile ‘realta’ umana’.
di Carlo Patrignani
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