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Perché non si vuole che si sappia che Cesare Pavese è stato fascista? Spy story

bruni pierfranco 11 ROMA - Perché non si vuole che si sappia che Cesare Pavese è stato fascista? Lo scrittore si è realmente suicidato o è stato suicidato? Una spy story dai contorni politici… Ma a chi dava fastidio Pavese? Perché mai non si deve parlare di un Cesare Pavese (nato nel 1908 e morto, suicida, nel 1950) che è stato fascista? Perché non si vuole che si sappia che Pavese è stato fascista con tessera del 1933 e con “devozione” a Benito Mussolini nelle lettere scritte dal confine in Calabria tra il 1935 e 1936? Confine non scontato dopo l’accertamento che ha riscontrato non solo un Pavese fascista, ma si è evidenziata l’appartenenza della famiglia di Pavese al fascismo, come comprovato dalle lettere della sorella Maria indirizzate al Duce e agli esponenti del Regime.
La domanda più spontanea sorge, d’altronde, rileggendo le sue opere e i suoi scritti e i suoi diari pubblicati anche postumi. Il fatto più ingiusto che si sia compiuto e continua con una forzatura ideologica è dato dai testi scolastici, i quali, la maggior parte di questi, ignorano completamente il Pavese tessera fascista con storia fascista, ma non dimenticano che nel 1945 abbia preso la tessera del PCI.
È vero che i libri di testo mascherano ancora molte verità, ma è anche vero che ormai bisognerebbe fare storia e scriverla con i documenti oltre qualsiasi ideologia. Il caso Pavese resta emblematico. Io ho avuto la possibilità di affrontarlo, in più occasioni e in diversi miei libri, in anni vari: dal 1983 al 1991, dal 1995 al 2008, ma, oltre la questione relativa ai riferimenti storici dettagliati, c’è soprattutto una lettura e una interpretazione letteraria dei suoi romanzi.
Sia “La casa in collina” che l’ultimo romanzo “La luna e i falò” sono vistosamente, per chi legge il testo in presa diretta e riflette sul linguaggio pavesiano, due capisaldi dell’anticomunismo. Nell’ultimo romanzo ci sono pagine di uno spessore umano e storico sorprendente. Persino la chiusa del romanzo è una precisa condanna della Resistenza comunista.
Quando il libro si chiude con l’uccisione di Santa, il cui corpo viene addirittura bruciato perché non vi siano, non vi restino, tracce a far parlare di lei è un disegno ideologico che dovrebbe permettere di rileggere Pavese dentro un contesto non solo storico ma anche pedagogico e metodologico che i libri scolastici non dovrebbero assolutamente ignorare.
Confermo che Pavese è stato fascista e confermo, con documenti affidabili, che il suo pensiero non rispecchiava, in nessun modo, la linea culturale del marxismo realista. D’altronde Pavese stesso, nell’Introdurre i capitoli dei “Dialoghi con Leucò” fa una forte affermazione invitando la critica e gli storici della letteratura a non considerarlo nella vulgata neo-realista. Ma c’è di più. Gli attacchi dei comunisti che vanno da Alberto Moravia a Giancarlo Pajetta (quando nel 1990, e anni successivi, vengono pubblicate pagine dei suoi diari inediti nelle quali si evidenzia la sua stretta vicinanza culturale al fascismo, Pajetta sferra un duro attacco a Pavese, accusandolo di infantilismo, da far rabbrividire: bisogna leggere i giornali di quel tempo per constatare ciò). Anche Moravia, che non è mai stato un critico letterario e tanto meno uno storico della letteratura, scinde il suo pensiero dai suoi scritti: un’idea quanto meno banale e pretestuosa.
Santa, la donna della luna e i falò, viene bruciata e il romanzo si chiude proprio con queste parole di Pavese:
“Una donna come lei non si poteva coprirla di terra e lasciarla cosí. Faceva ancora gola a troppi. Ci pensò Baracca. Fece tagliare tanto sarmento nella vigna e la coprimmo fin che bastò. Poi ci versammo la benzina e demmo fuoco. A mezzogiorno era tutta cenere. L’altr’anno c’era ancora il segno, come il letto di un falò”.
Con questo brano siamo alla chiusa del romanzo. Ma si potrebbe andare al capitolo XI dello stesso romanzo per “catturare” la visione pavesiana sulla Resistenza e sui comunisti. È un romanzo del 1950. L’intero capitolo citato è un vero e proprio manifesto. Una ulteriore piccola sottolineatura:
“ – Per me, – disse il dottore guardandoci adagio, – la colpa non è stata di questo o di quell’individuo. Era tutta una situazione di guerriglia, d’illegalità, di sangue. Probabilmente questi due hanno fatto davvero la spia... Ma, – riprese, scandendo la voce sulla discussione che ricominciava, – chi ha formato le prime bande? chi ha voluta la guerra civile? chi provocava i tedeschi e quegli altri? I comunisti. Sempre loro. Sono loro i responsabili. Sono loro gli assassini. È un onore che noi Italiani gli lasciamo volentieri...”.
Mi chiedo: in quali testi di letteratura scolastica è possibile leggere questi brani? Con quali criteri viene proposta la lettura del “personaggio” e scrittore Pavese e con quali metodi vengono suggeriti alcuni aspetti letterari di Pavese? Conosco bene i percorsi e le procedure.
Ancora un altro interrogativo mi resta, che inserirò nel mio romanzo su Pavese di natura fantasioso o di “fantasy”, al quale cercherò di dare una risposta in una storia fantasiosa e inventata (?): Siamo convinti che Pavese si sia suicidato? Siamo convinti che non sia stato suicidato?
Considerata la questione del “caso” Camus potrebbe anche esserci una questione Pavese?
Se Camus dava fastidio e l’interrogativo posto è questo: “Fu il Kgb a provocare l’incidente d’auto che gli costò la vita?”. Con Pavese, nonostante la sua inquietudine, considerati i fatti ideologici della post – Resistenza, in un mio racconto “fantasy” sarebbe possibile porsi la domanda: “Dopo ‘La luna e i falò’, dopo l’immaginario nel reale storico dell’XI capitolo e dopo l’uccisione di Santa, ridotta a falò e cenere, quali probabili verità sarebbero potute venir fuori?”.
Ma la mia è una storia dentro un romanzo che potrebbe essere considerato quasi una spy story. Forse? O forse sì? Ma la domanda è già tra le pagine. Così la risposta.

di Pierfranco Bruni

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Data:  22/11/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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