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Anche quando si scrive si deve assecondare il ritmo rutilante della vita? Mai

rocco-alessia-rm ROMA - Elogio della lentezza. C’è qualcuno che voglia fermarsi? Che abbia voglia di camminare lentamente, anche solo per un’esigua manciata di minuti e guardare il mondo senza trattenere il respiro, dimenticando lo scorrere vorticoso del tempo? Io lo voglio fare, almeno adesso, nel preciso istante in cui raccolgo le idee e mi crogiolo in questa piacevole attività che è, almeno per me, la scrittura. Oggi è difficile lasciarsi andare al piacere della lentezza, elogiarla come meriterebbe, perché il grande fratello che se ne sta acquattato dietro gli angoli della nostra vita, ci impone una maratona senza pause, sostenitore del motto “chi si ferma è perduto”. L’ho sentito dire anche sere addietro, in una trasmissione tv che sta per scovare il prossimo scrittore di best seller attraverso un reality. Un noto e bravo scrittore ha asserito che con una pistola puntata alla tempia (metaforicamente s’intende) si dà il meglio di sé. Questa affermazione è risuonata nella tranquillità della mia casa addormentata come un allarme d’automobile e mi ha destata da un certo torpore, al quale mi ero abbandonata, pur cercando di seguire le vicissitudini dei concorrenti in gara.
Ma chi ha stabilito, con tale sicumera, che anche quando si scrive si debba assecondare il ritmo rutilante della vita che sta fuori? Perché mai, almeno in un momento così intimo e sacro, non si può stare seduti, soli con se stessi, per cercare la frase migliore, la metafora più calzante, l’aggettivo giusto, senza affanni, senza orologi, senza ansie che sporchino il momento creativo? Non lo so, però il fatto che “la pressione incentivi la creatività” mi pare sia un cliché davvero duro a morire. Lo sappiamo tutti che la vita costringe ad una mutazione genetica i nostri bioritmi e che prima o poi ciascuno di noi dovrà rispondere ad un’urgenza “urgentissima” che gli mozzerà il respiro. Lo sanno gli insegnanti, gli impiegati, gli operai, tutti quelli che lavorano alle dipendenze di un datore di lavoro esigente e frettoloso… lo sanno anche gli scrittori, che devono rispettare, evidentemente, esigenze editoriali fatte di tempistiche ben definite e spesso stringenti. Ma questo non vuol dire che la creatività e la produttività ne risentano sempre positivamente. Questo non significa che tutto venga meglio quando qualcuno ti alita sul collo. Scrivere, dipingere un quadro, utilizzare insomma il proprio talento creativo per dare forma a qualcosa che un attimo prima esiste solo “in potenza” è cosa che necessita spesso di solitudine, silenzio, raccoglimento. Ma non solo per creare abbiamo bisogno di riprenderci uno spicchio di tempo, bensì pure, esclusivamente, per il gusto di fermare le lancette, staccare la spina, zittire il rumore. Tanto prima o poi dal nostro guscio dobbiamo uscirci per forza e affrontare il caos, la folla, la pressione. Io dissento da chi ci vuole sempre con gli occhi sgranati, l’adrenalina a mille, il cuore in extrasistolia. Dissento da quel concetto di velocità estrema a tutti i costi che è oggi necessaria, certo, ma che non obbligatoriamente apporta benefici, anzi ci piega, annienta il senso del piacere, della soddisfazione, ci manovra come fossimo pupi siciliani. Non è vero che chi si ferma è sempre perduto, perché chi è capace di farlo, non perde nulla (se non vuole perdere nulla) ma ritrova, almeno un poco, la capacità di osservare quello che gli gira intorno, osservarlo veramente intendo, non gettare un’occhiata distratta. Chi si ferma un attimo, solo un attimo per carità, ha il tempo di posizionare se stesso nel mondo e capire dove è diretto e con chi vuole fare il viaggio. Chi si ferma respira, riflette, riordina le idee e poi, doverosamente, ingrana la marcia, e ricomincia… a correre.

di Alessia Rocco

scrivere dovere assecondare ritmo rutilante
Data:  19/11/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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