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Graziella Priulla: escalation di misoginia e omofobia. E incoscienza dei docenti

priulla-graziella CATANIA - Nelle scuole catanesi un’escalation di misoginia e omofobia. La denuncia è della professoressa Graziella Priulla sulla sua bacheca di Facebook. «Sto girando molto per le scuole della provincia di Catania, e tutte le insegnanti che incontro mi segnalano con grande preoccupazione la crescita esponenziale del tasso di violenza tra ragazzini e ragazzine, soprattutto nelle medie. E' sessista ed è omofobica soprattutto, ma anche razzista e classista. Le docenti sono del tutto impreparate sia a reagire sia a prevenire, e per la maggior parte fanno finta di niente. I dirigenti scolastici temono, parlandone, di danneggiare il buon nome dell'istituto. I genitori spesso spalleggiano i figli violenti. Io mi stupisco che la politica non se ne accorga, e che le donne organizzate sembrino pensare a tutt'altro. Sono molto preoccupata: fenomeni come questo o si stroncano all'origine, o travolgono il vivere civile».
Priulla, sociologa della comunicazione e della cultura, insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi all'Università di Catania. Da anni impegnata sulle tematiche della differenza di genere, tiene seminari di formazione. Molte le sue pubblicazioni che spaziano dai mezzi di informazione alla sociologia dei consumi culturali, dalla comunicazione giornalistica sulla mafia ai linguaggi comunicativi della pubblicità e della politica, passando per i modi di rappresentazione e costruzione della realtà attraverso il mezzo televisivo e i temi della comunicazione pubblica in Italia. Non ho perso l'occasione per intervistata.
Dalle pagine di Facebook lei ha denunciato azioni misogine e omofobe negli istituti scolastici del catanese. Che fare?
Da tempo mi occupo della questione di genere in ogni campo dello scibile umano e da altrettanto tempo porto queste mie riflessioni in giro nelle scuole. I ragazzi sono poco educati a riguardo, non conoscono neppure la differenza tra sesso e genere e gli adulti sono i primi a ignorarla. Ogni volta che entro in contatto con il mondo dell’istruzione mi rendo conto che il problema parte dall’alto. I genitori dei bulli incitano i figli a farsi rispettare con la violenza, psicologica o fisica che sia; quelli dei giovani che la subiscono hanno paura di denunciare. I presidi occultano il fenomeno per non fare cattiva pubblicità alla scuola, i centri antiviolenza sono pochi e oberati e le forze dell’ordine intervengono di rado. La soluzione è parlarne, fare comunicazione e creare reti tra le persone, le associazioni e gli enti che hanno competenza in merito e voglia di agire. Abbiamo già realizzato, oltre che momenti di approfondimento con le allieve e gli allievi dei vari istituti, corsi di aggiornamento per le docenti e i docenti e messo in collegamento alcune scuole superiori della provincia di Catania.
Lei tiene all’Università di Catania un laboratorio di genere. Perché e perché così pochi nelle università italiane?
Laboratori di genere perché? Così pochi perché i docenti che se ne occupano sono volontari. Questi approfondimenti non vengono valorizzati con alcuna retribuzione. Siamo milizie volontarie in una battaglia nella quale crediamo molto, ma che non è finanziata dagli Atenei non in grado di sostenerne i costi. Il Ministero poi non li incentiva affatto.
Perché quando si parla di donne è sempre gratis?
Perché alla politica non interessa. I politici si riempiono la bocca con la questione di genere e con l’attenzione nei confronti dell’amore omosessuale, ma di fatto non agiscono rispetto a queste tematiche. Ai politici interessa ottenere un consenso immediato e di risultati estemporanei da un progetto volto a modificare la forma mentis delle persone è impensabile ottenerne. Questa, dunque, appare loro una buona ragione per ignorare il problema.
I libri di testo usati nelle scuole sono ancora lontani dalla parità di genere e dall’abbandono della lingua sessista. Fallito dieci anni fa l’accordo Polite (Pari opportunità nei libri di testo), oggi è ricomparso. Lei ci crede?
È credibile relativamente. È un accordo poco pubblicizzato, i mass media non aiutano affatto nella sensibilizzazione rispetto a un problema così evidente e in crescita come quello della questione di genere, ed è poco sostenuto dalle istituzioni per i motivi di cui abbiamo appena parlato. I docenti, poi, nella maggior parte dei casi, non sono coscienti dell’esistenza di una questione di genere, non hanno alcuna percezione della misoginia dilagante nei libri di testo antiquati che si continuano a utilizzare, generazione dopo generazione, e non immaginano così alcuna possibile rilettura delle materie tutte, in chiave femminile.
Lei usa molto, per comunicare, i social network. Se ne parla spesso in negativo. Cosa ne pensa?
Avevo un iniziale pudore e anche diffidenza non essendo nativa digitale. Guardavo a Facebook come a una cosa per ragazzini. Mi sono dovuta ricredere. È una comunicazione libera e immediata. In pochissimo tempo con la mia pagina “Laboratori di genere all’università di Catania” ho creato una rete fatta di giovani studentesse e studenti, ma anche di colleghe e persone interessate all’argomento. Ne sono soddisfatta, è uno strumento prezioso.
Lei crede nelle nuove generazioni?
Se non ci credessi non farei il lavoro che faccio. Operare da docente significa essere sempre in contatto con i giovani e puntare su di loro. Tutte le iniziative che credo di realizzare sono volte a creare dei giovani attenti, interessati e sensibili. Io sono contro quell’educazione sentimentale che si insegna una volta a settimana. I sentimenti non si insegnano, non così. C’è bisogno di un lento lavoro di costruzione della personalità dell’individuo affinché cresca con la consapevolezza che la vera uguaglianza è la comprensione della differenza.

di Dafne Rapuano
Data:  16/11/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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