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Fabrizio De André. Il poeta che ha la voce della poesia e delle letterature

bruni-e-ghezzi ROMA - Fabrizio De André. Il poeta che ha la voce della poesia e delle letterature oltre le accademie e la cattedre… Anche di questo parlerò nell’incontro dedicato a De André a Taranto il prossimo 8 novembre 2013. Qual è il punto di contatto tra il testo poetico di Fabrizio De André e la poesia come elemento letterario? Un interrogativo che, nel corso di anni lunghi, mi ha sempre accompagnato. La risposta l’ho data in più occasione, ma soprattutto nelle tre edizione del mio saggio dedicato, appunto, al De André “cantico del sognatore mediterraneo”, nelle mie numerose conferenze, in Italia e all’estero, sul rapporto tra canzone e poesia e, ora, nel mio recentissimo libro su “Franco Califano. Sulla punta di una matita non sono passati secoli” (Il Coscile).
A mio avviso l’interrogativo può essere dissolto. Già, per la Rizzoli nel 2007, nel libro “Volammo davvero”, insieme ad altri studiosi, scrissi un saggio nel quale creavo un legame tra la poesia di Pavese, di Lee Master e di De André.
Creare un legame! Anzi, il legame esiste. Io ho cercato soltanto di rappresentarlo e di dimostrare come il testo di De André è profondfamenete una parola poetica. Il dibattito, mai risolto, tra la cosiddetta “canzone d’autore” e poesia, resta un dibattito inutile e, in molte occasioni, banali.
Si lavora sui linguaggi. È vero che c’è un linguaggio della parola e un linguaggio della musica. Ma fare una distinzione tra canzone e poesia, come tuttora avviene, è di una inutilità spregiudicata. È come se dicessimo che Saffo non è poesia, che Petrarca è canzonettiere insieme a Saba, che Pavese ha distrutto la tradizione poetica con il mazzo delle sue ultime poesie ed è come relegassimo Prévert a canzonettista di una Parigi e Bretagna soltanto allegorica. Ma è anche è come se dessimo al Poliziano la licenza di non poeta e dicessimo che la Ballata non rientra nei “canoni” delle poetiche.
Insomma il discorso non regge se si insiste sulla differenza tra testo di una canzone che la le sue caratteristiche poetiche e una poesia definita pura. Io sto con Pasolini. Su questo non ci sono dubbi. Non posso condividere le affermazioni di Maurizio Cucchi che taglia in due il testo tra una canzone e la poesia. La parola è poesia nel madrigale come è nel sonetto. Da De André a Califano ci sono incisi fondamentali che recuperano addirittura la tradizione del verso al linguaggio poetico. Si recupera, tra l’altro, anche il frammentismo.
D’altronde da Ungaretti a Quasimodo si è creato un gioco tra il verso e la musica, basti pensare all’Ungaretti che intrattiene rapporti con la canzone ispana. Salvatore Di Giacomo ha dato un senso poetico alla sua canzone attraverso le metafore. Non possiamo creare separazioni. Il Luigi Tenco della parola sofferta è nel Rocco Scotellaro dolorante e viceversa. Il Sergio Endrigo del “girotondo” è uno scavo nell’ironico gioco della parola. Il Franco Simone dei “pugni chiusi” è l’estremo limite della parola negata all’amante.
De André resta centrale. Continua ad essere centrale in un viaggio che va dagli anni Sessanta sino a Vinicio Capossela, che è l’interprete di un Futurismo accentuato insieme a Paolo Conte. Capossela è Futurismo. Basta ascoltare sì la sua musica, ma soprattutto il quadro dei linguaggi che utilizza.
C’è un impasto a griglia tra la canzone e la letteratura. È chiaro che sono i testi che bisogna porre nel gioco di questa griglia e non può esistere una poesia dei “laureati” alla accademia del linguaggio poetico, l’incastro montaliano oggi non regge, e una poesia dei “letterati”.
De André è un letterato. Da “Marinella” (Ronsard è di casa) sino al suo legame con lo scrittore colombiano Alvaro Mutis passando attraverso Prévert e la poesia francese del tardo Ottocento sino alla Scapigliatura, resta, senza alcun indugio, un punto di riferimento che filtra il Modugno della rottura con lo stile popolare “di “Grazie dei fiori…”. Modugno usa le metafore che verranno proiettate negli anni Sessanta – Ottanta. De André è nel Vecchione che ama Pessoa, Pascoli e Penna, ma anche nel Battiato – Sgalambro che gioca tra gli Orienti del Mediterraneo già dentro il viaggiare mediterraneo di De André. Il Don Baky delle “nostalgie” recupera un Neruda del Canto d’amore trascinato sino al Tenco di Cammariere a cominciare dal Guccini, che studia il contatto tra il verbo da usare e l’immagine. Possiamo non dire poeta Guccini?
Finiamola di discutere sul nulla del rapporto o non rapporto tra testo di una canzone e poesia. Se in una canzone c’è poesia la si respira subito. Mogol cosa è? Cosa è stato? È stato un autore di canzone ma è stato ed è soprattutto un poeta. Sono esempi in una geografia in cui è impossibile fare distinzioni tout court. Gli autori che qui ho citato sono poeti. Dobbiamo cercare di entrare in un processo che è letterario ma anche antropologico.
La poesia è liricità, metafora, canto? Dalla Grecia – Roma sino al Catullo di Biagio Antonacci. Non mettiamoci in cattedra per fare lezioni. Molti testi di Antonacci sono poesia.
De André, dunque, resta centrale in questo percorso. È stato poeta nel corso della sua vita. Lo è se non smettiamo, come non riusciamo ad allontanarci dalla sua parola, di ascoltarlo e di vivere le sue parole nel mosaico dei linguaggi che restano.
Per me è stato un riferimento. Mi ha dato molto più De André che le noiose cantiche di un Duecento (pre e post medioevale italiano) che non ho mai sentito appartenere alla mia esistenza, alla mia anima, al mio inquieto trascorrere la vita e la morte dei giorni. Anche di questo parlerò nel mio incontro dedicato a Fabrizio De André il prossimo 8 novembre a Taranto.
Può essere un’eresia, una provocazione, una robustezza del superamento della debolezza scolastica? Sono felice di non aver ascoltato e seguito la debolezza dei canoni scolastici… La si prenda come si vuole. Ogni leggerezza dell’essere è il luogo della metafisica dell’anima.
Da De André a Califano: il brano della poesia è un viaggio di sapienti senza cattedre… Forse anche per questo per “Tutto il resto è noia…” Franco Califano è stato insignito, dall’Università di New York, della laurea honoris causa in Filosofia. Ma tutto il resto del dibattito è veramente noioso.
Senza De André e gli autori qui citati la poesia italiana, già negli anni Sessanta, avrebbe rotto completamente con la tradizione linguistica … Più volte di questo ne ho discusso con Dori Grezzi, custode del viaggio umano e poetico di Fabrizio De André.

di Pierfranco Bruni
Data:  5/11/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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