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Tutti non sono uguali di fronte alla legge. E non si può parlare di giustizia

scorza-giustizia REGGIO CALABRIA - La prima cosa che mi preme sottolineare è che la legge non è sinonimo della giustizia: molto spesso si utilizzata come tale, ed è a essa che si dovrebbe ispirare, ma ormai abbiamo imparato che la giustizia non è di questo mondo, almeno per com'è organizzato oggi. La legge, sono regole che ogni società si dà e che vengono imposte con la forza a tutti i componenti, i quali vi si devono attenere, nonostante non abbiano preso parte alla loro stesura. La legge è ispirata dalla morale, o il costume, che poi, è più o meno la stessa cosa. Si dice che la legge sia uguale per tutti, questo solo in teoria perché, in pratica, tutti non sono uguali di fronte alla legge; questo è uno dei motivi per cui non si possa parlare di giustizia. La legge di per sé è una cosa utile, perché regolamenta i rapporti fra le persone tra loro, verso le cose e il loro utilizzo: in effetti la legge ha come scopo l'ordine sociale. Il problema è che l'ordine dipende sempre da chi lo ordina e con quale criterio venga ordinato. L'ordine non è statico e non può essere assoluto, ma si può solo ottenere dopo aver stabilito il risultato che si vuole raggiungere: si può ordinare in base al colore, alla lunghezza, all'utilità e in altri infiniti modi, questo è un altro motivo per cui non si possa parlare di giustizia, poiché essa di per sé è oggettiva, mantre la legge è soggettiva. La legge rispecchia bene lo stato di avvitamento in cui oggi, tutte le società industrializzate si trovano, e che cercano di fronteggiare impotenti, nei fatti annulla se stessa, in quanto le varie leggi si fronteggiano e si annullano l'un l'altra: è per questo che ci vogliono i buoni avvocati! Con questo sistema si fa in modo che un individuo applichi la legge, solo nel modo più favorevole ai suoi interessi, attribuendo valore alle leggi quando sono presenti dei testimoni, e violandole, quando nessuno li vede.
Particolarmente inefficace è l'intervento del sistema legale e dei tribunali, sia per reprimere chi commette reati sia per proteggere chi li subisce, o anche semplicemente, chi ha il ruolo di testimone. Nei tribunali non importa assolutamente nulla a nessuno della verità, ma della loro credibilità, che consiste nel verosimile, aspetto a cui deve badare chi vuole “vincere”. Addirittura, qualche volta non è neppure il caso di esporre i fatti, se non sono avvenuti in modo verosimile, ma sia nell'accusa sia nella difesa, occorre attenersi, appunto, alla verosimiglianza e, in generale parlando, bisogna perseguire il verosimile e lasciar perdere il vero. I castighi che gli uomini assegnano ad altri, non puniscono mancanze naturali, ma l'insufficiente apprendimento: in effetti nelle società “civili” il castigo è una specie di insegnamento, e viene inflitto per mancanze relative alla legge e alla “virtù”. Chi intende punire ragionevolmente non lo fa in considerazione della colpa che è stata commessa, la pena infatti non cancellerebbe il passato, ma lo fa in visione del futuro, in modo che non commettano nuovamente il “male”, né il “colpevole” né altri che lo vadano punito: così facendo non si punisce per educare, ma per dissuadere. Tutto questo non è utile né all'uomo né alla natura, ma addirittura dannoso, sia all'uomo sia alla natura e al suo corso. Si avverte quindi, la necessità di superare i tradizionali concetti della “virtù”, legati soprattutto ad una morale anacronistica. Qualunque uso appaia ad una città giusto e lodevole, per quella città è tale finché essa lo ritiene tale. Quindi dobbiamo ritenere che non può essere accettato nessun modello di onorabilità di nessuna particolare società, come decisivo modello morale. Credo che la legge per essere efficace debba ridurre al minimo il suo intervento, essere semplice e chiara, lasciare all'individuo la capacità di stabilire cosa si possa, o non si possa fare e in che modo. La legge deve tener conto della vera natura degli esseri umani, giacché l'uomo è radicato alla sua natura; non è la legge che deve plasmare l'uomo, ma l'uomo che deve plasmare la legge. Mi domando per quale ragione dovremmo sottometterci a frustranti controlli sul comportamento naturale. Dovremmo rivendicare uno stile di vita alternativo, per poter perseguire la propria evoluzione. Perché dovrei limitare il soddisfacimento dei miei bisogni per il volere di altri? Dovrei farlo perché è questo il dovere imposto agli uomini? Allora perché dovrei assecondare un obbligo impostomi dall'esterno, in modo eteronomo? Dovremmo capire che l'origine di ciò che è giusto sta effettivamente in una prescrizione autonoma, non eteronoma, che sorge dall'interno della natura. La natura ha bisogno di essere sviluppata nell'educazione. Ecco che qui si può iniziare a parlare di giustizia! La storia dimostra che la legge, così come è stata costruita, non ha portato e non porta alcun risultato; la criminalità non è mai stata debellata e le carceri sono stracolme. Sarebbe interessante discuterne i motivi, ma il discorso sarebbe molto lungo e complesso... Ma forse, si può semplificare così: troppi sono gli interessi degli “attori” coinvolti, affinché tutto vada come va.

di Fabio Scorza
Data:  27/10/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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