“La donna del mare” di Henrik Ibsen, al Teatro Eutheca con il grande drammaturgo |
ROMA - Dal 17 ottobre e fino al 3 novembre 2013, al Teatro Eutheca di Roma, in scena in prima nazionale “La donna del mare” di Henrik Ibsen, per la regia di Carlo Fineschi, con Federica Tatulli (Ellida Wangel), Domenico Cucinotta (Dottor Wangel), Craig Peritz (Lo Straniero), Camillo Ventola (Arnholm), Salvatore Costa (Ballested). Il celebre capolavoro del drammaturgo norvegese, scritto sul finire dell’Ottocento, appare oggi più attuale che mai. Non tanto - o meglio, non solo - per la denuncia di un certo conformismo borghese e per una riflessione sul ruolo della donna e sulla sua libertà di scelta.
Oggi questi sono temi attuali, ma non certo rivoluzionari. La libertà raggiunta nella meta finale è intesa su un piano più ampio, è approdo di un viaggio di conoscenza compiuto dal personaggio emblematico, Ellida, che dà il titolo all’opera, a livello interiore. Ed Ellida, per giungere a tale meta, è chiamata insieme al marito Wangel - fedele compagno ma forte antagonista - ad attraversare e a lottare con l’oscurità, simbolicamente rappresentata dalla figura di uno Straniero, tornato un giorno per condurla definitivamente via con se’. In questo senso appare subito evidente che la vicenda personale della protagonista è solo uno degli elementi, seppure in primo piano, che compongono la trama complessa di questa affascinante opera di Ibsen, intessuta di mille echi e suggestioni oniriche, sotto la cui superficie, come in filigrana, traspaiono simboli, archetipi e segrete allusioni. Un’opera che con forte tensione poetica sa toccare temi universali e farsi dramma. Ed è proprio questa forza drammaturgica “nascosta” nel testo, pur nella forma di una sottile indagine psicologica, che la regia di Carlo Fineschi e il lavoro degli attori - Federica Tatulli, Domenico Cucinotta, Craig Peritz, Camillo Ventola, Salvatore Costa e i giovani Stefano Chiliberti, Francesca Lozito e Vittoria Galli – intendono far emergere. Attraverso il corpo e il gesto degli attori e, soprattutto, il coinvolgimento diretto dello spettatore (lo spettacolo è itinerante e prevede che il pubblico osservi le azioni dei protagonisti all’interno di luoghi scenici che cambiano nel susseguirsi degli atti), il testo si trasforma in azione scenica, gli eventi si fanno teatro. A creare un fitto e complice dialogo tra attori e spettatori, in un rapporto empatico che si rinnova ogni volta, contribuiscono i costumi contemporanei, lineari ed eleganti, curati da Mariella D’Amico e la scenografia ideata da Verunska Nanni. In particolare, la scenografia offre una rappresentazione stilizzata del giardino e di casa Wangel; l’azione ruota intorno ad un alto e grande albero che si apre a ventaglio nello spazio del teatro Eutheca di Cinecittà per un piccolo gruppo di spettatori, al massimo 30 a sera. Perchè gli spettatori sono introdotti all’interno della casa stessa e possono spiare attraverso pareti immaginarie, respirare; vivere, a distanza ravvicinata, quanto si svolge sulla scena, in luoghi scenici sempre diversi e che, come piccole isole di luce create dai riflettori, si oppongono con immagini, sensazioni, emozioni, al buio che circonda tutto il resto, un’oscurità che, come il mare di cui Ellida parla continuamente, è metafora di oblio e oscurità interiore.
Il lavoro attoriale - quello realizzato sul testo di Ibsen da Fineschi, dalla Tatulli e dagli altri interpreti - va a proseguire e ad approfondire una linea di ricerca sulla performance teatrale già avviata e sperimentata negli anni precedenti da questo stesso gruppo di artisti sui grandi classici della tradizione (ultima, nel 2013, la Medea di Euripide) e che, oggi, trova un’ulteriore conferma in questa originale e interessante messinscena.
video spettacolo
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