ROMA - Quando nasce una mamma. Un anno fa nasceva mia figlia, un anno fa nascevo io, come mamma. È stato un anno fantasmagorico, pieno di eventi, scoperte, timori, gioie assolute. Una donna che sperimenta la grandezza della maternità può capirlo. Non esiste amore più totalizzante, dolore più accecante, sollievo più avvolgente. Un figlio è la zattera che ti traghetta verso il futuro, perché è il futuro, con tutte le speranze, i dubbi, i sogni che si tira dietro.
La società nella quale viviamo ci spinge a fare figli, ci dice ogni giorno che questo sta diventando un paese di vecchi, e chi di noi ha ancora il coraggio o forse l’incoscienza di mettere al mondo un bambino, in effetti, rende un servigio alla società.
Ma come sono trattate queste mamme da quella stessa società che glorifica la maternità? Meno di niente.
Una mamma è un essere che necessita di accortezze, perché una donna che partorisce sperimenta sul proprio corpo e nella propria psiche uno sconvolgimento senza pari. Quella stessa donna non ha il tempo, dopo il lieto evento, di riprendere in mano le fila della propria esistenza, perché deve iniziarne un’altra, doppiamente difficile; quella signora dovrà occuparsi di un essere umano che le si affida totalmente e lo farà per molti anni a venire. Quella stesa signora è, molte volte, una lavoratrice, e quindi dovrà conciliare famiglia e occupazione, organizzando la propria quotidianità al meglio per essere efficiente e mai manchevole. Eppure a quella donna non si regala nemmeno un poco di comprensione, solo tante bellissime parole, zuccherosi convenevoli che non le faciliteranno i compiti. Quella signora dovrà combattere per conservarsi il posto di lavoro, perché la maggior parte delle volte un figlio ti penalizza, ti fa scendere in fondo alla lista delle persone affidabili, nell’impiego privato. Un figlio si ammala, ha il raffreddore, il mal di pancia, e probabilmente in quei giorni la mamma vorrà stargli vicino, come è giusto che sia, e prendere un permesso lavorativo. Da certi maschi ignoranti ho sentito, in merito a tali questioni, dire “avete voluto la parità e ora fate tutto”.
Cari fratelli di sesso maschile, innanzi tutto ricordatevi che vi partoriamo noi, che siete tutti figli delle donne, come cantava Mia Martini; secondo, la parità non vuol dire abbrutimento ma semplicemente avere tutti le stesse possibilità di crescita nella vita privata e professionale. La natura, Dio o chi per Lui, hanno deciso che solo le femmine possano mettere al mondo le nuove generazioni e il mondo dovrebbe accordare loro un po’ più di rispetto.
Forse se potessimo avere asili nido nei luoghi di lavoro saremmo anche più serene sul lavoro; forse se potessimo godere di congedi di maternità (e paternità) più umani, come avviene in molti paesi del nord Europa, saremmo lavoratrici più appagate; forse se potessimo avere la sicurezza che, dopo la maternità il posto di lavoro ci aspetti intonso, saremmo madri più serene.
La strada è lunga e sconnessa, ma si sa, anche la speranza è femmina.
di Alessia Rocco
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