Io non posso accettare, io voglio “confrontarmi”, “considerare”. "Condividere" |
ROMA - Accettazione. Riflettevo sul concetto di accettazione per quanto riguarda “gli altri”, e mi sono resa conto che, in questo senso, detesto il verbo “accettare”, perché ci vedo insito il concetto di sopportazione, di “quasi sacrificio” nei confronti di chi è diverso da noi, per lingua, etnia, religione, costumi sessuali. Si parla spesso di “accettazione dell’altro”, che sia una persona proveniente da un altro paese, un clochard che dorme sul marciapiede di una stazione, una persona omosessuale che vuole le si riconoscano dei sacrosanti diritti. Io posso “accettare” un compromesso, un’amicizia, una proposta, ma non mi piace sentir parlare di “accettazione” nei confronti di “categorie di persone” che di solito vengono ghettizzate e schernite, perché io non “accetto” io “considero” l’altro un mio pari, io non nutro pregiudizi, io non schernisco, non giudico, non mi ergo a detentrice della verità e della superiorità di una “razza” o di una natura sessuale. Io vivo come essere umano su questa terra accanto ad altri esseri umani che sono uguali a me e diversi allo stesso tempo, ai quali posso insegnare qualcosa e dai quali posso apprendere qualcosa. Non è buonismo, non sono Madre Teresa e non aspiro alla santità, ma credo che il messaggio più alto e illuminato che l’uomo abbia mai ricevuto sia quello della fratellanza e del rispetto, che di certo non vuol dire “sopportare” passivamente ciò che di negativo la vita ci riserva, anche per mano di altri esseri umani come noi, ma vuol dire capire che anche il male non è prerogativa di un’etnia piuttosto che di un’altra. Aborro chi sottolinea l’appartenenza geografica di un assassino, per esempio, come se il fatto che egli sia albanese, ghanese o italiano faccia qualche differenza… per me non ne fa. Il male e il bene, sono due categorie dicotomiche universali che germogliano nel terreno culturale, etnico, sociale di chiunque, non importa di che colore sia la sua pelle o quale culto professi nel suo tempio. Io non posso “accettare”, voglio andare al di là di questa “mera” concessione di benevolenza che facciamo ai nostri simili quando troviamo in loro caratteristiche che non ci appartengono, che non si uniformano alla massa e ci dimentichiamo di ricordare tutte le meravigliose differenze che colorano il genere umano.
Io non posso accettare, io voglio “confrontarmi”, “considerare”, “costruire”, io vorrei veder crollare queste mura di ipocrisia, scalare queste montagne di preconcetti, vorrei veder cadere i tabù, constatare che non esistono più confini geografici, che un uomo e una donna di un paese straniero non vengono “a toglierci il lavoro”, ad “abitare” case che sarebbero altrimenti destinate a noi”.
Io non voglio “accettare”, io voglio “condividere”.
di Alessia Rocco
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