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Chi è l'Uomo A-Vitruviano? Claudio Roberti a tu per tu con Tania Sabatino

A-VITRUVIANO 1 ROMA - Incontro con l’uomo a-vitruviano verso la Vita Indipendente. Per capire. L’universo della disabilità, affrontato con un metodo di indagine storico-sociale (sociologica) ed un approccio interdisciplinare, e le prospettive di Vita Indipendente, ottenute attraverso il ricorso a strumenti mirati, anche per persone con disabilità gravi e gravissime. Di questo e di tanto altro, partendo dall’analisi di ciò che c’è e di ciò che ci dovrebbe essere per raggiungere l’obiettivo di una vera e piena integrazione, si parlerà giovedì 17 gennaio 2013 ad Ascea, alias Elea--Velia (Salerno), a partire dalle ore 10, nell’ambito del convegno “Dalla dimensione teorica-astratta dell’Uomo a-Vitruviano alla dimensione quotidiana: l’elemento sostanziale e strategico è reso dalla “VITA INDIPENDENTE”. Il convegno, curato dalla sociologa a-vitruviana Rosaria Duraccio, è organizzato grazie alla Fondazione Alario, sita in viale Parmenide, strada dedicata al grande filosofo della Magna Grecia fondatore della scuola eleatica.
Un convegno che promette di mettere insieme teoria e pratica e che non a caso parte dalla Campania, dove la situazione è ancora drammatica. Teoria perché verrà fatto il punto della situazione su come finora è stato concepito e visto (ed ancora lo è) il cosiddetto uomo a-Vitruviano. Pratica perché partendo dalla situazione attuale verrà presentata una possibile strategia per riuscire a rendere fruibile la “vita indipendente” a coloro che non sono autosufficienti. Una riflessione tra ieri ed oggi, tra passato, presente e futuro, per riuscire ad attuare realmente, attraverso il ricorso a supporti mirati ed in termini progettuali, una vera e propria “rivoluzione copernicana” dell’integrazione.

L’UOMO A-VITRUVIANO
Ma chi è l’uomo a-vitruviano, potenziale protagonista ed artefice di questa possibile, e francamente auspicabile, rivoluzione?
Ce ne parla Claudio Roberti, sociologo della disabilità ed autore del saggio “L’Uomo a-vitruviano: analisi storico-sociologica per altre narrazioni della disabilita’ nel sistema mondo”, edito dalla casa editrice Aracne.
Un libro che è necessario leggere con attenzione sin dalla copertina.
Perché è già lì che si incontra l’uomo a-vitruviano. Viene incontro al lettore, balzando fuori dall’immagine pensata da Claudio Roberti ed a cui ha dato vita il pittore Valerio A. Gentile.
Un olio su tela (1.30 x 1.50) che ti arriva diritto a cuore e cervello.
Perché, come sottolinea con forza Roberti, rappresenta “sia una categoria analitica sia una provocazione culturale”. Un’allegoria, un alter ego, dell’uomo vitruviano, il cosiddetto normodotato, che in qualche modo lo “caricaturizza”.
Perché la normalità e la anormalità (l’una in qualche modo esiste in funzione dell’altra) hanno tra di loro un “confine fluido”. Si può passare dall’una all’altra condizione in un attimo, quasi senza rendersene conto, per un evento che accade all’improvviso, in base ad una probabilità enne volte possibile.
Perché, anche se per alcuni il discorso potrebbe sembrare strano o di parte, gli a-vitruviani, non fanno parte di un universo a sé, non appartengono ad un’altra razza o specie, in qualche modo aliena, lontana e da nascondere. Sono persone, come ben sottolinea la convenzione Onu, che sono divenute forzatamente a-vitruviane.
Nell’immagine di copertina del saggio di Roberti, l’’uomo a-vitruviano appare “mostruoso”, perché le persone con disabilità sono state dipinte sempre così attraverso i secoli, come spiega l’autore.
Ed allora se di esseri fuori dalla norma deve trattarsi, marchiati dal segno di Caino, il peccato originale, per qualche colpa inestinguibile, o eterni giullari, esposti al pubblico ludibrio, costante monito di ciò che potrebbe essere ma non si vorrebbe mai che fosse per sé stessi… allora che questa rappresentazione sia forzatamente spinta fino alle estreme conseguenze e “scelta”.
Ma l’uomo a-vitruviano raffigurato è molto di più.
Non è solo la persona con disabilità come è percepita ancora oggi, ma è soprattutto quella che dovrebbe essere, in uno stato di piena potenza dispiegata, per poter aspirare ad una piena e reale integrazione. Un essere umano che ha da una parte un cingolato e dall’altro una ruota di un auto da Formula 1 al posto dei piedi, potente e veloce al contempo, non solo fisicamente, ma soprattutto emotivamente ed intellettualmente. Un cervello ipertrofico al posto dei genitali, con una penna in mezzo ai due emisferi cerebrali.
“Un a-vitruviano – racconta Roberti – per poter aspirare ad una vita sessuale, e non è comunque detto che riesca ad averla, deve mettere a frutto intelligenza e carisma”. Occhi al posto delle unghia, per vedere oltre le apparenze.

L’IMPIANTO DEL LIBRO
Un saggio, che vuole dialogare con l’universo degli addetti ai lavori in maniera trasversale, che muove da un’analisi storica e sociale, diacronica e sincronica, della figura del disabile nello spazio e nel tempo. “Impegnando i saperi in forma intensa, sistematica e intersettoriale. Tramite un itinerario antropologico-storico-sociologico (in chiave di analisi del sistema mondo di Immanuel Wallerstein) si dimostra cosa sono, da dove vengono e dove possono arrivare le cosiddette disabilità”.
Un impianto forte rigoroso, che prende le mosse dal modo di intendere il ruolo dell’analisi sociologica, creato dallo studioso Orlando Lentini, maestro di Roberti, un’ascendenza che caratterizza fortemente la narrazione.
“Il taglio divulgativo – ribadisce l’autore – non spetta a me. Ci sono sicuramente momenti maggiormente divulgativi, come quelli dedicati alle storie di vita, affrontate attraverso un approccio qualitativo, ma più in generale il mio fine è sancire una tematica ricca e complessa dal punto di vista scientifico e culturale”.
Un punto di vista mai medicale ma che fa appello ad una summa di scienze umane, con il ricorso a pensatori, come ad esempio Marx e Weber, che secondo la visione classica non hanno nulla a che vedere con l’universo della disabilità.
“In questo saggio – sottolinea Roberti – non mi pongo come un conoscitore delle teorie sociologiche, bensì come un creatore. Il mio obiettivo, infatti, è creare un nuovo paradigma. Ho preso, laddove disponibili, alcune categorie analitiche e le ho plasmate. Laddove non c’erano le ho create ex novo, facendo ricorso al metodo ipotetico-deduttivo”.
Non a caso la gestazione di quest’opera è durata circa 15 anni. Il risultato è significativo, un vero è proprio punto di riferimento su questo tema, ed anche su molti altri che ad esso si intrecciano.

IL PERCORSO
La figura dell’uomo a-vitruviano affonda le radici lontano. L’analisi parte dalla Preistoria, passando attraverso l’età antica, in particolare quella greco-romana che segna una geocultura del Mediterraneo.
Sono imprescindibiie alcune figure di controllo sociale, come la acabadora sarda, una donna di mezza età, o anziana, spesso nubile o vedova, a cui era affidato il compito di eliminare gli anziani non più autosufficienti e di fatto “operante”… fino agli inizi del secolo passato.
Momento di svolta per l’età moderna: il XVI secolo dell’umanesimo universalista spagnolo.
Qui i disabili non sono più qualcosa da nascondere e distruggere, bensì qualcosa da ostentare, un monito costante a sentirsi fortunati, senza dimenticarsi mai di “rigar dritto”, non peccando, se non si vuole fare la loro stessa fine. Una visione cattolica, petrinologica, teocratica, realizzata e diffusa dell’Impero di Spagna, la prima potenza globale della storia.
Poi, passando per l’analisi dell’epoca positivista mai del tutto superata, con le sue pretese di poter classificare e misurare tutto (sempre secondo l’approccio world system che si snoda tra area centrale, semi-periferica e periferica), si approda all’analisi del modo di approcciare la disabilità tipica degli Stati Uniti e del mondo anglosassone. Paesi antesignani, già dalla prima metà del ‘900, di una nuova prospettiva, in cui ci si affranca, almeno parzialmente dal concepire la persona con disabilità come “malata”. Dagli States alla Gran Bretagna, passando per Svezia e Danimarca, in quella parte del mondo, si sgretola tendenzialmente l’idea che gli a-vitruviani siano persone da relegare, segregare, assistere in luoghi “a parte”…
Ed eccoci arrivati ad un tema “spinoso” che incide e graffia quotidianamente: le barriere architettoniche. Facendo ricorso ad un approccio antropologico, Claudio Roberti si interroga sul loro significato e la loro fruizione, un indicatore fondamentale della sistemazione–collocazione dell’uomo a-vitruviano nella società. Perché, laddove questa presenza è voluta la barriera architettonica viene eliminata o non collocata a priori.
Non può mancare un’analisi qualitativo-sociologica di vite di personaggi a-vitruviani esemplari, più o meno noti: dall’imperatore romano Claudio Tiberio Druso al presidente americano Roosvelt.
Senza dimenticare il significato antropologico degli ausili.
“L’uomo a-vitruviano ha bisogno imprescindibilmente – dice Roberti – dell’animale artificiale, lo Stato, che incarna le esigenze di tutti per dispiegarne la potenza, mediando tali esigenze ed annullando i soprusi verso i più “esposti”… Sì, perché l’uomo a-vitruviano è un esposto, non un debole”.
All’interno del costrutto analitico così congegnato, Roberti impegna in forma molto originale i saperi dei filosofi, ed antesignani della sociologia, T. Hobbes e B. Spinoza.
Alcuni esempi di animale artificiale, frutto della struttura sociale ma anche di scelte politiche ad hoc? A questo proposito, l’autore articola ancora l’analisi sociologica.
Nel caso italiano (inteso come centro-periferico del sistema mondo secondo la concezione world-system di Wallerstein), oggi l’ attenzione si sposta inevitabilmente verso le connessioni fra Convenzione ONU–Costituzione, Carta U.E. Quindi in prima istanza la Legge 162/98 in materia di Vita Indipendente, poi il Collocamento mirato in base alla legge 68/99 sulle capacità residue, l’eliminazione delle barriere architettoniche, la legge 104/92 (sostanzialmente inapplicata ed inesigibile, a causa dell’assenza di copertura finanziaria) che dovrebbe sancire il diritto ad una piena integrazione in tutti gli ambiti di vita e così via.
Qui si declinano i diritti umani, soggettivi ed inalienabili, perché gli uomini a-vitruviani, come dimostra la radice stessa del nome, sono diretta emanazione dei vitruviani (l’alfa privativa lo dimostra). Se sono a-vitruviani è non per loro volontà, ma per un evento contingente, di qualsivoglia natura, a cui è stato contrapposto un contesto declinato solo in base alle esigenze vitruviane, cioè dei cosiddetti normodotati (ed a ben vedere neanche di quelle).
Specificamente, loro, invece è il coraggio, la forza, la tenacia,lo sforzo (conatus). E l’aspirazione legittima ad una reale integrazione, prima di tutto culturale, frutto di interventi collettivi ed individuali mirati.

di Tania Sabatino
Data:  15/1/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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