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Giornalismo di guerra e nelle aree di crisi, nel libro di Daniele Mastrogiacomo

mastrogiacomo TERRACINA (LATINA) - Daniele Mastrogiacomo presenta
“I giorni della paura” al Terracina Book Festival. L’inviato di Repubblica racconta il reportage che lo ha portato nelle viscere dell’inferno. L’incontro sul giornalismo di guerra e nelle aree di crisi è per domenica 16 settembre alle 18.30. Rischiare la vita per un reportage. E non solo. Daniele Mastrogiacomo, inviato di Repubblica, nel 2007 andò alla ricerca di uno scoop in una terra maledetta. Fu rapito dai talebani e visse prigioniero per due settimane, trascinato in lungo e in largo per le aride lande dell’Afghanistan, in compagnia di un profondo e graffiante terrore.
Al Terracina Book Festival, domenica 16 settembre alle 18.30, ci racconta quei giorni: “I giorni della paura” (edizioni e/o). Un racconto dettagliato, scritto con quella memoria indelebile che affiora tutte le notti, ogni minuto, per non essere dimenticata. Un reportage, il più terrificante vissuto sulla propria pelle, salva per un soffio. Un esorcismo della paura che accompagna la ricostruzione umana di chi ha stravolto la propria vita pur di raccontare il mondo.
«Se voglio continuare a scrivere di Afghanistan - racconta nel suo libro Mastrogiacomo - devo cercare di capire quanto siano potenti (i talebani, ndr), quanto territorio abbiano conquistato, quale sia il loro peso nel sud del paese. Chi li paga, chi li addestra, chi li sostiene. Voglio conoscerli. Come impone la nostra professione. Per confrontare la realtà con le versioni dei bollettini ufficiali del comando delle forze dell’Isaf, la coalizione internazionale a guida Nato, e raccontare una guerra che il mondo sente lontana».
Questa la premessa a quel viaggio terribile. Poi si sono susseguiti violenza, prigionia, religione, follia, feste, giochi, esecuzioni finte e vere, dolore e paura. Oltre alla certezza di morire.
A caro prezzo, tuttavia, l’inviato ha portato a termine il suo lavoro. Pensare al giornale, al motivo per cui era giunto fin lì e a quel che avrebbe scritto dei talebani, era un motivo per sopravvivere, per non pensare, come ripete più volte nel suo resoconto.
“Il ritratto dei talebani che via via disegna, giorno dopo giorno, - scrive il giornalista Bernardo Valli nella prefazione - osservandoli durante le folli corse nel deserto afghano, o nelle ore angosciose passate con i ceppi ai piedi e ai polsi nelle prigioni occasionali, hanno una autenticità rara, anzi rarissima, quasi irraggiungibile dal giornalista che spesso resta un voyeur distante dai fatti e dai suoi protagonisti. È il ritratto che ne fa un prigioniero, un ostaggio, una vittima, in preda a tutti i timori di chi sta sfiorando la morte, ma che non ha perduto lo sguardo del reporter”.
Quando il giornalismo si spinge fino all’estremo, fin nelle più profonde viscere dell’umanità, non è più un lavoro. Diventa una ragione di vita, una missione.
Data:  10/9/2012   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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